Sorvolo, 103

“Questo, a mio modo di vedere, in realtà rappresentava il grande legame della Comunità dei Servizi Segreti e dell’industria tecnologica: entrambe sono poteri radicati e non eletti che sono orgogliosi di mantenere una segretezza assoluta sui loro sviluppi. Entrambe credono di avere le soluzioni per tutto, che non esitano mai ad imporre unilateralmente.

Il coinvolgimento diretto, che può essere duro ed emozionalmente sfibrante, semplicemente non si verifica gran che nel lato tecnico dello spionaggio, e praticamente mai nell’informatica. C’è una spersonalizzazione dell’esperienza, favorita dalla distanza di uno schermo. Sbirciare la vita attraverso una finestra alla fine può astrarci dalle nostre azioni, e limitare qualunque confronto significativo con le loro conseguenze.

I tecnici hanno raramente, se mai lo hanno, un senso delle applicazioni più generalizzate e delle implicazioni politiche dei progetti ai quali vengono assegnati.

Mi venne rammentata quella che forse è la regola più fondamentale del progresso tecnologico: se qualcosa si può fare, probabilmente verrà fatta, e magari è già stata fatta.

Il terrorismo, naturalmente, era la ragione dichiarata per la quale la maggior parte dei programmi di sorveglianza del mio paese fu applicata, in un periodo di grande paura ed opportunismo. Ma il vero terrorismo si rivelò essere la paura perpetrata da un sistema politico che era sempre più disposto ad usare praticamente qualsiasi giustificazione per autorizzare l’uso della forza.

Questi programmi non erano mai per il terrorismo: sono per lo spionaggio economico, per il controllo sociale, e per la manipolazione diplomatica. Sono per il potere.

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