Crimine contro l’Umanità: Pensiero Unico in Economia

Economia neoclassica, nuova economia classica, e gli altri imbonitori sul palcoscenico: la congiura del silenzio, il monopolio antisociale, il golpe strisciante del Pensiero Unico in Economia. E la scomoda anomalia giapponese.

Una logica conseguenza della meta di base dei soppressivi, chiunque altro morto, sono i fatti osservabili che qualunque cosa sia suscettibile di diventare utile a tale scopo nelle mani dei soppressivi, che lo sia ancor più nelle mani delle fonti potenziali di guai, e che la religione, la politica ed ora l’economia siano in cima alla lista.
La ragione per rammentare ora questo fattore è paragonare le mascherate ed isolare lo schema comune sotto i differenti costumi di scena:
Quando lo strumento dirottato è la religione, siamo rivoltati l’uno contro l’altro e mandati al macello al grido di: «Dio lo vuole! Dio è con noi!», o qualcosa del genere.
Quando lo strumento dirottato è la politica, siamo rivoltati l’uno contro l’altro e mandati al macello al grido di: «Il Re, il Partito, il Leader, l’Idea lo vuole! La Storia è con noi!», o qualcosa in tal senso.
Quando lo strumento dirottato è la scienza economica, siamo rivoltati l’uno contro l’altro e mandati al macello al grido di: «Lo vuole il Mercato! La Legge Naturale è con noi!»

La forma ripetitiva qui è voluta appunto per sottolineare tale ripetitività. Sono tutte menzogne miranti al controllo totalitario verso prima il monopolio e poi la soppressione, e tutti i relativi dogmi, misteri ed il resto dei sipari sono gli strumenti essenziali per tenere assieme lo spettacolo.

Qual è l’ovvia risposta una volta scoperto il loro gioco?
Già stato, già visto il film, grazie. Ficcatelo in quel posto.

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E così il film attualmente in cartellone fuori del Circo Massimo al cui interno veniamo fatti combattere gli uni contro gli altri si chiama “scienza economica”? Bene, vediamo un po’.
L’attuale “Verbo” che “lo vuole” è il “Mercato”, perciò il “Verbo tecnico” di turno è un “Verbo economico”. È stato etichettato appropriatamente “Pensiero Unico in Economia”. È “Unico” perché ha conseguito una posizione invidiabile. È così invidiabile che il fatto che l’abbia conseguita, e che conseguentemente in precedenza non ne godesse, è sfuggito alla nostra consapevolezza. È talmente invidiabile che per metterlo nella giusta prospettiva devo iniziarne la spiegazione dalla realtà stessa.

È stato detto che realtà è sinonimo di accordo, e che le cose sono reali per la sola ragione che concordiamo che lo sono. Ma è importante notare che l’accordo ha due livelli. Quando iniziamo a guardare alla realtà dal punto di vista che essa consista di accordo, dapprima incontriamo il primo livello di accordo: il gradimento. A questo primo livello siamo d’accordo con le cose nella misura in cui ci piacciono: ci piace quello che ascoltiamo, siamo d’accordo con esso; non ci piace quello che ascoltiamo, siamo in disaccordo con esso. E magari in generale concordiamo o discordiamo di conseguenza anche con tutto quanto abbia a che fare con esso. Ma c’è un secondo livello di accordo oltre il gradimento, al di sotto di esso; e se continiamo a guardare alla realtà dal punto di vista dell’accordo incontreremo anche quello. A questo secondo livello, siamo d’accordo con le cose che ci piacciano o no: concordiamo sul fatto che esistano indipendentemente dal nostro gradimento di esse. Non ci piace quel che ascoltiamo? Potremmo discordare con esso, ma nondimeno concordiamo che sia stato detto e di averlo ascoltato. Ci è caduto il gelato? Di sicuro non ne siamo felici ma, sebbene a malincuore, siamo d’accordo che adesso è lì per terra. Anche perché se osassimo rifiutarci di concordare con quel gelato lì per terra ci ritroveremmo poco dopo ad indossare una camicia di forza, che tale è la natura dell’accordo di gruppo: qualcosa di alquanto incline a diventare un’arma a doppio taglio, come stiamo per vedere.

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Ed è stato detto anche che, in termini parafrasati, la sola cosa che può intrappolare è il proprio accordo sulla realtà. Che questo sia vero o no non è così importante; quello che conta è la sua utilità, e questa la si vede meglio attraverso il suo contrario: non si affronterà un qualcosa a meno che non lo si consideri possibile e, ancora di più, non si metterà in discussione la realtà di qualcosa se si dà quella realtà per scontata. Dare qualcosa per scontato lo pone fuori del proprio campo visivo, e sappiamo che questo fronte è sottoposto ad un attacco permanente.

E questa è esattamente la posizione invidiabile conseguita dal “Pensiero Unico in Economia”: tutti concordano che esista; tutti concordano che sia vero; tutti concordano che le cose stiano così e basta; che loro lo gradiscano o meno. A tal punto concordano che sia reale che hanno persino dimenticato che ciò che loro ora danno così unanimemente per scontato non è sempre stato così.

A proposito, tutti chi? I Sacerdoti del “Verbo economico” sono i soli lupi da pastore a prendersi cura del gregge delle pecore? È il momento di ricordare che cosa Wil Coyote stava studiando così attentamente, quando prima lo abbiamo disturbato per trattare quel che ho chiamato la missione del tradimento. Quali sono gli opinion leader del gregge? La nostra moderna (ed a senso unico, da loro a noi) piazza del paese e finestra sul mondo sono i media, e questi sono imbottiti di, beh, di tutto e di più; le categorie si sprecano: ogni genere di economisti, accademici ed ogni sorta di “…ologi”, politici, sindacalisti ed ogni sorta di attivisti, intellettuali, specialisti ed ogni sorta di leader, artisti, gente di spettacolo ed ogni sorta di ecc., ecc.

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La lista è quasi infinita, le loro nature e posizioni ideologiche, politiche, economiche sono piuttosto variegate e spesso confliggenti, e questo attira la nostra attenzione sul fatto che essi abbiano solo due cose in comune: visibilità mediatica e quell’accordo sul “Pensiero Unico in Economia”. Il che a sua volta ci riporta al summenzionato secondo livello di accordo: indipendentemente da quanto in conflitto su altre questioni, ed indipendentemente anche che ci siano o che ci facciano, c’è, comunque, qualcosa di basilare su cui tutti loro concordano, ed è il “Pensiero Unico in Economia”. Un accordo che ovviamente comprende il chiudere ferreamente entrambi gli occhi su tutte le sfaccettature della manipolazione monetaria di cui noi ora siamo al corrente.

A costo di suonare pleonastico, il Pensiero Unico in Economia è un caso emblematico dell’insospettata profondità del secondo livello dell’accordo, quello su cosa sia reale. Ammesso che siano in buona fede, tutti i summenzionati opinion leader ne hanno le ali inconsapevolmente tarpate; se al contrario sono in malafede, allora hanno buon gioco nel fargli tarpare consapevolmente le nostre. In ambo i casi, essi influenzano le nostre vite; e noi stessi.
Perciò, siamo davvero sicuri che Re Pensiero Unico abbia addosso dei vestiti? Apriamo il cofano ed ispezioniamo.

Un buon manuale d’officina che mappa cosa sia cosa sotto quel cofano è New Paradigm in Macroeconomics, Un nuovo paradigma in macroeconomia, di Richard A. Werner; l’attenzione dedicata a seguire i fili è più che ricompensata dalla comprensione di cosa stia succedendo, di quali parti stiano facendo cosa in quel guazzabuglio prima inestricabile. Chi cerca trova. Ed al contrario rimanerne esclusi lascia in balia di un’oppressione che diviene sempre più potente e misteriosa man mano che viene permesso alla sua stortura di operare indisturbata.

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Parlando di quello che ho chiamato dominio sull’ambiente, ho accennato a come Re Pensiero Unico non abbia sempre goduto della sua posizione invidiabile, e Werner ci dice come in circa vent’anni sia passato da una posizione di minoranza a quella dominante: “questo approccio aveva avuto successo nel dominare la sua disciplina in tutte le principali università nel mondo. Gli accademici che non aderivano ad esso avevano difficoltà a fare carriera: ottenere ingaggi o farsi strada dipendeva dalle pubblicazioni nei principali periodici – che erano stati usurpati da questa particolare scuola di pensiero. … Un gran numero di eminenti burocrati, giornalisti, politici ed altri ‘opinion−maker’ nazionali ed internazionali era stato addestrato in questa disciplina od era in altro modo divenuto suo seguace. Come risultato, le vedute da essa proposte arrivarono a dominare il dibattito politico pubblico alla metà degli anni ’80, permeando la discussione di questioni riguardandi persone, comunità, aziende, la nazione e la comunità internazionale. I sostenitori spesso non sono più a conoscenza del fatto che ci potrebbero essere scuole di pensiero alternative. Per loro, l’economia neoclassica è di per sé sinonimo dell’economia moderna. La maggior parte dei programmi di economia nelle università consiste interamente in economia neoclassica, e gli studenti possono passare degli anni a studiare per le loro lauree senza venire a sapere che potrebbero avere studiato soltanto una branca particolare, una delle tante scuole di pensiero nella disciplina economica. La stampa finanziaria cita le idee neoclassiche quotidianamente, ed i suoi seguaci si sono insediati nelle cariche pubbliche più elevate. I banchieri centrali sono fra le prime professioni a venire associate strettamente all’economia neoclassica. A ciò hanno fatto seguito giornalisti finanziari e funzionari pubblici. Come risultato, la solfa della deregolamentazione, liberalizzazione e privatizzazione sta venendo suonata quotidianamente, ed offerta praticamente come la panacea per molti dei mali del mondo. … L’economia neoclassica si rivela l’unica scuola di pensiero nell’ambito della disciplina dell’economia, e senz’altro una delle pochissime discipline intellettuali in generale, che respinga l’approccio induttivo prediletto dagli scienziati, e preferisca il deduttivismo. Che l’approccio deduttivo all’economia, in origine marginale ed eccentrico, sia divenuto oggi la scuola di pensiero dominante, è da considerarsi un fenomeno unico.”
Lasciando da parte induttivismo e deduttivismo come etichette che spiegherò fra breve, senz’altro istituzioni e pubblicazioni accademiche, gruppi di media ed editoriali, gruppi politici ed organizzazioni sociali in generale hanno dei costi operativi, e come ho detto, se chiunque ha un prezzo, ora qualcuno ha il denaro…

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Pensiero Unico in Economia è in realtà un aggettivo, un soprannome, una constatazione; all’anagrafe, il suo nome è ‘economia neoclassica’. Werner, inoltre, ci informa che altre sue etichette sono ‘dottrina neoclassica’, ‘neoliberismo’, ‘fondamentalismo del mercato’, ‘estremismo del mercato’, o persino ‘religione’.

Tornando al suo manuale d’officina, non posso ovviamente citarlo qui per intero; quello che posso fare è trattare qualche elemento principale e rimandarti ad esso per una trattazione preziosa ed esauriente.

Procedendo per logica attraverso il guazzabuglio sotto il cofano, la prima questione è l’approccio neoclassico ad esso, e Werner ci dice come qui abbiamo il fenomeno unico dell’unica scuola di pensiero in economia che respinga l’approccio induttivo per prediligere quello deduttivo. Fili, manicotti, cinghie, candele, … induttivismo e deduttivismo? Werner ci dice che…
“la scuola di pensiero neoclassica si basa sull’approccio deduttivo. Questa metodologia sostiene che la conoscenza è prodotta iniziando con assiomi che non sono derivati dall’evidenza empirica, ai quali sono aggiunti assunti teorici (di nuovo non sostenuti empiricamente), e sulla base dei quali vengono utilizzati strumenti di logica (matematica) per provare risultati teorici.
C’è un approccio alternativo. Questo approccio esamina la realtà, identifica fatti e schemi importanti, e poi prova a spiegarli, usando la logica, in forma di teorie. Queste teorie sono poi verificate e modificate secondo necessità, in modo da essere più possibile aderenti ai fatti della realtà. Questa metodologia è chiamata induttivismo. Tutte le scienze naturali e la maggior parte delle discipline scientifiche usano questo approccio. L’induttivismo non è solo dominante nella scienza, ma esso descrive anche come abbiamo imparato da bambini in merito a questo mondo. Quando abbiamo toccato la stufa bollente in cucina e ci siamo scottati le dita, abbiamo imparato induttivamente che facendolo di nuovo ci saremmo fatti male di nuovo. L’induttivismo non è solo scientifico, è anche buon senso. Questo è il motivo per cui prima dell’arrivo dell’economia neoclassica la maggioranza degli economisti seguiva alquanto naturalmente l’approccio induttivo.”

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Beh, in questo mondo abbiamo a che fare con fatti; la ricerca del perché dei fatti ha lo scopo di essere causa su di essi, il che comprende il prevederli; prevederli è intrinsecamente una ricerca degli elementi comuni che collegano i fatti, e le teorie sono ipotesi su tali elementi comuni; le teorie sono perfettibili, soggette a tentativi ed errori, approssimazione, ed anche a venire stravolte, cestinate e rifatte da capo a piedi alla luce di ulteriori fatti.
O almeno dovrebbero. A meno che un interesse superiore abbia un copione da mettere in scena. Di nuovo, se qualunque teatro di burattini ha un prezzo, ora qualche burattinaio ha il denaro…
Joseph Stiglitz, nella sua conferenza di accettazione del Premio Nobel, ha detto: “Ci si potrebbe domandare, come possiamo spiegare la persistenza del paradigma così a lungo? In parte, dev’essere perché, a dispetto delle sue deficienze, ha fornito degli approfondimenti su molti fenomeni economici. … Ma non si può ignorare la possibilità che la sopravvivenza del paradigma in parte sia avvenuta perché la credenza in tale paradigma, e nelle prescrizioni di politica economica, ha servito determinati interessi.”

Infatti, prova di questo è quanto profondamente l’approccio deduttivo – ed anche il suo abile uso – siano determinanti per portare avanti quel copione e quell’interesse, come fa notare Werner: “Si può vedere che la metodologia deduttiva è la ragione fondamentale per cui l’economia sia potuta finire così lontano dalla realtà. Se viene fatto notare uno scarto fra la realtà e la teoria (da qualche induttivista molesto), il deduttivismo non esige che gli economisti neoclassici cambino la loro teoria. Invece, i deduttivisti hanno il diritto di esigere che sia la realtà a venire cambiata per adattarsi alla loro teoria (che è corretta per assioma). Se la lunga lista di assunti necessari perché i modelli neoclassici funzionino non sembra riflettere la realtà, è logicamente coerente per i deduttivisti suggerire che siano implementati cambiamenti strutturali così che sia la realtà a spostarsi in una posizione più vicina ad allinearsi con i loro modelli. L’approccio deduttivo spiega anche perché il crescente dominio dell’approccio neoclassico abbia determinato una relegazione ad uno status secondario di quelle branche dell’economia che guardano realmente alla realtà, quali economia applicata, storia economica, economia politica e studi economici regionali. Trattavano fatti scomodi, e perciò la loro influenza doveva venire ridotta in modo da non minacciare il deduttivismo dominante.”

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Il risultato di questa operazione è quello di una vittoriosa strategia di conquista dei territori e delle menti. Ancora Werner, “Gli economisti neoclassici sono andati oltre l’essere nominati governatori di banche centrali, ministri dell’economia o segretari del tesoro. Sono persino diventati primi ministri o Presidenti. In queste posizioni d’influenza hanno fatto molto per portare avanti il programma delle politiche della scuola di pensiero neoclassica. L’economia neoclassica ha dominato le decisioni di grandi organizzazioni internazionali che hanno a che fare con la politica economica. Fra di esse, spiccano banche di sviluppo regionali, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la Banca dei Regolamenti Internazionali, l’Organizzazione Mondiale per il Commercio, come pure l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Molto presto, queste istituzioni si sono concentrate sull’assumere e far avanzare le carriere degli aderenti alla scuola di pensiero neoclassica. Grazie ai muscoli legali, finanziari e politici di queste istituzioni, specialmente dell’FMI e della Banca Mondiale, l’economia neoclassica del libero mercato è stata proiettata oltre i limiti di un piccolo numero di paesi industrializzati dov’era stata sviluppata, ed ha lasciato il suo marchio sul mondo, influenzando le vite di milioni di persone nella maggior parte degli angoli più lontani della terra. In più di 100 paesi, politiche delle banche centrali, programmi di aggiustamento strutturale guidati dall’FMI e pacchetti di riforme guidati dalle banche di sviluppo hanno cambiato drasticamente la politica fiscale, la politica monetaria, la politica di regolamentazione e molti aspetti di come le società sono organizzate, ogni volta lungo le linee neoclassiche. Questo poteva assumere la forma dei tagli ai sussidi per il cibo per coloro che sono finanziariamente deboli, o del privatizzare il rifornimento di acqua potabile, privando spesso in tal modo i poveri del loro approvvigionamento d’acqua per mezzo del prezzo.”

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È stato detto che l’applicazione di una tecnica è un’arte. E che nessun servomeccanismo ci potrà mai riuscire, soltanto tu ed io rimboccandoci le maniche. Una delle ragioni è che c’è un divario fra concetti astratti e circostanze contingenti reali, e noi siamo chiamati all’arte di colmarlo ogni singola volta. Ogni giorno viviamo quel giorno come sé stesso, non come una copia degli altri.
Perciò, quando applichiamo una politica ad un paese, per quanto deduttiva possa essere, se siamo ragionevoli e sensati, dovremmo tenere sotto controllo la risposta per regolarne l’applicazione alle circostanze contingenti. Ma Werner ci dice: “Ogniqualvolta la Banca Mondiale e l’FMI si attivavano – la maggior parte dei paesi in via di sviluppo – presto sembravano conoscere i veri problemi di ciascun paese. Poca ricerca locale era necessaria per raggiungere le loro conclusioni. Sembrava che il grosso del lavoro consistesse nel cambiare il nome del paese su uno studio precedente, dato che i suggerimenti sulle politiche sono molto prevedibili e sembrano applicarsi a tutti i paesi: la riforma strutturale per implementare liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione, ci viene detto, è la sola strada per la prosperità.”
Quando una politica deduttiva viene imposta addirittura non solo indipendentemente dai fatti, dalle circostanze, ma proprio a dispetto di essi, i conti ovviamente non tornano, e diviene ovvio che la vera agenda è più nell’ambito del tradimento che in quello dell’aiuto.

Questo è quanto circa l’approccio neoclassico. Ed è alquanto significativo osservare come il suo distacco dalla realtà vada di pari passo con la virulenza della sua imposizione.

Continuando a procedere attraverso il guazzabuglio, la prossima questione sotto il cofano neoclassico sono i suoi principi.
Uno degli spartiacque più tipici fra un approccio deduttivo, astratto, teorico ed uno induttivo, pratico, empirico corrisponde alla differenza che si trova fra l’universo delle idee e l’universo fisico: gli assoluti. È stato osservato come non esistano assoluti nell’universo fisico, e d’altro canto si può osservare come gli assoluti, in quanto concetti astratti, siano uno strumento utile, ma proprio come qualsiasi strumento essi sono intrinsecamente approssimativi, e quindi da usare sempre cum grano salis.
Significativamente, alla luce di questo, i principi neoclassici si fondano su assoluti, assoluti con un “grano salis” decisamente molto scarso.

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Il primo assunto è quello della “mano invisibile”: con quel termine intendono che gli individui sono motivati dall’interesse personale e che, se consentitogli di operare liberamente, alla ricerca del loro interesse personale raggiungerebbero spontaneamente, come fossero condotti da una “mano invisibile”, un equilibrio che produrrebbe il miglior risultato possibile per tutti. Suona bene, detto così. Adesso mettiamolo sul banco di lavoro e smontiamolo.

“Gli individui sono motivati dall’interesse personale.” Ed anche, “Gli individui sono motivati solo dall’accumulo di ricchezze materiali.” In altre parole, “io, io, io, mio, mio, mio, afferrare roba, stringere roba, trascinare roba in giro, e chiunque altro e qualunque altra cosa, che vadano all’inferno!” La chiamano “la teoria del consumatore”.
Indipendentemente dagli altri principi neoclassici, questo assunto è rilevante in sé e per sé; inoltre lo è anche perché sulla base di un assunto vengono sviluppate ed usate delle strutture d’incentivazione: per persuadere la gente a comprare questo ed a fare quello si usano incentivi e metodi basati sulla motivazione presunta.
Hai appreso dell’etica come il maggior bene per tutti: la sopravvivenza come il risultato di uno sforzo di gruppo nel produrre e scambiare infiniti fattori di sopravvivenza e forme di aiuto reciproco, in cui nessuno sopravvive da solo e fondamentalmente c’è un solo bene ed è il bene per tutti, niente e nessuno escluso. E ci sono sia fattori di sopravvivenza materiali che non materiali ad essere prodotti e scambiati: c’è pane, e c’è amore. Ora, puoi andare a controllare di persona se questo sia vero o no. Se gli individui, le comunità e la vita fioriscano od appassiscano a seconda che gli individui agiscano egoisticamente e materialisticamente o cooperativamente ed a tutto tondo. E nel fare ciò potresti trovare gente in varie condizioni, più o meno buone o cattive, che agisce in base a motivazioni corrispondenti alle loro condizioni: migliore la propria condizione, più la propria motivazione è l’etica; peggiore la propria condizione, più la propria motivazione è l’interesse personale, se mai si è motivati.

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Non è soltanto che gli incentivi basati su motivazioni sbagliate potrebbero non funzionare, ma è anche peggio. È stato detto che si raccoglie ciò che si semina: ciò che ricompensi tenderai ad ottenere, ciò che penalizzi tenderai a non ottenere, e prestare attenzione a qualcosa oppure ignorarlo è una forma di ricompensarlo o di penalizzarlo. Di conseguenza, usare strutture d’incentivazione basate sulla motivazione più bassa alla quale la gente può essere ridotta esercita su di essa una pressione degradante costante, diffusa e dissimulata. Una pressione soppressiva. È stato detto che il criminale vede gli altri a propria immagine, e senz’altro l’influenza di un criminale sul suo ambiente è comunque degradante e soppressiva, che stia portando avanti un piano deliberato a tal fine o meno.
Che un tale sfruttamento manipolato delle motivazioni sia soppressivo lo si può vedere facilmente in come l’interesse personale nel senso stretto dell’economia neoclassica da solo degeneri in parassitismo suicida. Tratterò questo più avanti, qui basti dire che se un tale interesse personale è il solo ed unico scopo, allora prima o poi si passa dallo scambio alla rapina, dall’economia alla finanza, e si dà il via alla spirale della speculazione la quale è intrinsecamente distruttiva e letale perché, essendo essenzialmente uno schema piramidale, richiederebbe di espandersi all’infinito esponenzialmente, laddove al mondo non esistono risorse infinite. Ed anche perché, mentre procede verso la distruzione finale, si porta avanti lasciando dietro di sé una vasta scia di distruzione, adesso.
Infatti, Werner ci dice che, mentre è stato dimostrato più e più volte da studi scientifici che non è un interesse personale materialistico del genere a motivare la gente, questa scia di distruzione soppressiva basata su questo assunto assume la forma del costringere il mondo proprio nella direzione opposta, e sbagliata: la ruota del criceto. Se si è motivati dall’interesse personale, si deve guadagnare per poter avere; le strutture d’incentivazione basate su questo assunto costringono la gente verso l’interesse personale come la sola motivazione imposta, e quando essa diventa la sola motivazione che permette di sopravvivere, allora la gente deve o rubare o ammazzarsi di lavoro per farsi le scarpe a vicenda. Ridurre in questo modo alla ruota del criceto gente che aspirerebbe ad una vita piena in comunione gli uni con gli altri è decisamente suppressivo.

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Parlando di assoluti, se c’è un assoluto qui, e se c’è un argomento fondamentale per questo ‘quadro generale’, è quello di come sia cruciale la relazione fra quei minuscoli assunti sepolti in nascondigli così remoti e sconosciuti alla maggior parte di noi come le teorie economiche o le concezioni dell’umanità, e la loro immensa ricaduta distruttiva, ramificata in forme praticamente infinite, che solitamente ci mettono gli uni contro gli altri, nel mondo reale delle carni e delle vite di noi tutti. E quanto siano altrettanto cruciali l’intenzione dietro di essi trattata nel ‘nucleo’, e la forza dietro di essi trattata nella ‘pietra filosofale’, senza le quali niente di tutto questo esisterebbe in primo luogo. Solo come esempio qui, inteso a stimolarci a rilevare tali ramificazioni delle ricadute, questo primo assunto dell’economia neoclassica da solo può mettere la gente l’una contro l’altra con questi due pretesti soppressivi falsi indipendenti come minimo: “necessità economica”, ed “educazione”.

Tornando ora alla “mano invisibile”, richiamo la tua attenzione sul punto chiave, cruciale in quel primo assunto base: la parola “se”. Quel primo principio contiene una condizione, un requisito: esso dichiara che andrà tutto bene per tutti… se, purchè, a condizione che. Se, purchè, a condizione che la “mano invisibile”, quell’interesse personale individuale materialistico neoclassico che abbiamo appena esaminato, possa operare liberamente. Liberamente…
Che cosa intendono con “liberamente”? Intendono il resto dei principi neoclassici. E qui entra in gioco l’approccio deduttivo, astratto, teorico, per svolgere la sua funzione al servizio di interessi superiori.
Infatti, abbiamo esaminato il principio neoclassico base e lo abbiamo scoperto falso, in quanto presenta il peggior caso particolare come se fosse universale. Stiamo per esaminare i principi neoclassici ausiliari ed andrà ancora peggio. Perché il modo in cui l’approccio deduttivo serve interessi superiori è mettendo in scena qualcosa che proprio non esiste nemmeno, fornendo così i presupposti falsi sui quali procedere come se la teoria falsa fosse vera e reale.
In altre parole, ed in pratica, il dogma neoclassico è: tutto quello che è necessario per soddisfare la condizione in esso contenuta è liberare la “mano nascosta”, le “riforme strutturali raccomandate per deregolamentare, liberalizzare, privatizzare ed aprire quante più industrie ed aspetti dell’economia sia possibile”, ed andrà tutto bene per tutti, per l’ottima ragione che tutte le restanti condizioni descritte in questi principi neoclassici ausiliari sono automaticamente, intrinsecamente soddisfatte, in posizione, reali. Un po’ come dire al trapezista: “Non devi verificare che la rete ci sia prima di bendarti e lanciarti: c’è per mia definizione; c’è perché lo dico io.” Suona familiare? Inizia con la deferenza verso l’autorità e finisce con la nuvoletta di Wil Coyote in fondo al canyon. Bum.

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Quando Wil Coyote si rialza a stento, accanto a sé nella polvere nota i principi neoclassici ausiliari: “informazione perfetta”, “competizione perfetta”, “massimo utilizzo della capacità”, “rendimenti di scala costanti o decrescenti”.
Sapendo che la cosa più importante nell’imparare è individuare e definire i termini sconosciuti o fraintesi, e farlo subito perche tutto quanto, da un termine sconosciuto o frainteso in avanti, è un vuoto caotico rovinoso ma non notato, decide di tornare subito ai libroni nella sua tana per esaminare questi principi, e di farlo partendo dal più incomprensibile.

Che cosa sono i rendimenti di scala costanti o decrescenti?
Wil Coyote chiarisce quello che legge disegnandolo. Disegna un rettangolo: questa è un’entità di produzione, qualcosa che produce qualcosa. Poi disegna qualche freccia che punta verso il rettangolo e le etichetta “apporto”: questi sono i fattori di produzione che entrano nell’entità. Poi disegna una freccia che punta dall’entità verso l’esterno e la etichetta “prodotto”: questa è la sua produzione che ne esce. Se misuri le quantità di apporto e prodotto, hai la loro scala. Se le paragoni fra loro, hai la loro proporzione. Poi prende un altro foglio di carta, ripete lo stesso disegno, ma stavolta molto più grande, e ripete fra sé e sé:
“Queste due entità sono dello stesso tipo con lo stesso tipo di apporto e prodotto, e la loro sola differenza è la scala: una è più piccola e l’altra è più grande; diciamo che la dimensione del rettangolo, dell’apporto e del prodotto della seconda sia dieci volte quella della prima. Questa è la loro differenza in termini di scala; la domanda è: c’è differenza fra loro in termini di proporzione apporto−prodotto?
Supponiamo che l’apporto ed il prodotto della più piccola siano entrambi 10; la sua proporzione prodotto−apporto è 10 diviso 10: 1. Poi supponiamo che l’apporto ed il prodotto della più grande siano entrambi 100; la sua proporzione prodotto−apporto è 100 diviso 100: anche qui, 1. In questo caso, incrementando la scala, la proporzione rimane la stessa; questo si chiama: rendimenti di scala costanti.
Poi supponiamo che l’apporto della più grande rimanga 100 ma che il suo prodotto sia 50; la sua proporzione prodotto−apporto è 50 diviso 100: 0,5. In questo caso, incrementando la scala, la proporzione si abbassa; questo viene chiamato: rendimenti di scala decrescenti.
Infine supponiamo che l’apporto della più grande rimanga 100 ma che il suo prodotto sia 200; la sua proporzione prodotto−apporto è 200 diviso 100: 2. In questo caso, incrementando la scala, la proporzione si alza; questo viene chiamato: rendimenti di scala crescenti.

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In sintesi: il rendimento di scala è il rendimento dell’aumentare di scala, vale a dire di dimensioni, e risponde alla domanda: vale la pena ingrandirsi? Tanto più è crescente e tanto più la risposta è ‘sì’, tanto più è decrescente e tanto più la risposta è ‘no’, e se è costante la risposta è ‘non fa alcuna differenza’.
I rendimenti di scala sono parenti stretti delle economie di scala, e l’economia di scala è la diminuzione del costo di produzione per unità di prodotto che si ha aumentando di scala, di dimensioni, e quindi aumentando il numero di unita prodotte. Entrambi mostrano gli effetti di un aumento di scala; l’economia di scala mostra l’effetto sul costo di produzione per unità di prodotto, il rendimento di scala quello sulla proporzione fra le quantità di apporto e prodotto.
È stato detto che rendimenti di scala costanti implicano che tutti i produttori (qualunque sia la loro scala di produzione) possano produrre i beni al medesimo costo per unità: e questo rende l’autoproduzione un’alternativa praticabile alla produzione di mercato. E quindi che se il lavoro è il solo fattore di produzione, l’autoproduzione diventa la sola opzione: e l’economia di mercato cessa di esistere.
Ancora una volta Wil Coyote chiude il libro, e sopra la sua testa compare la nuvoletta di un pensiero: “Hmm… vediamo: supponiamo ci siano due persone, A e B, ciascuna di esse produce due prodotti diversi, X ed Y, e ciascuna di esse produce un’unità di X ed un’unità di Y al giorno, per un totale di due X e due Y al giorno. Ora supponiamo che applichino la divisione del lavoro, ed A si specializzi nel produrre solo X, e B si specializzi nel produrre solo Y. Poi supponiamo che dopo un po’ A produca due unità di X al giorno e B produca due unità di Y al giorno, per ancora lo stesso totale di due X e due Y al giorno come prima. Poco dopo sia A che B cancellerebbero la divisione del lavoro e ritornerebbero a produrre entrambi i prodotti autonomamente, se non altro per risparmiarsi la ripetitività, il fardello dello scambio, e per il principio della ripartizione del rischio, giusto nel caso uno di loro dovesse ammalarsi. Vale a dire, se non ci fossero rendimenti di scala crescenti ed economia di scala, non ci sarebbe ragione per la divisione del lavoro, la specializzazione e lo scambio. Conseguentemente, il fatto che la divisione del lavoro, la specializzazione e lo scambio esistono dimostra che esiste a sua volta anche la loro ragione stessa: rendimenti di scala crescenti. Del resto, è stato fatto notare come nel caso di un edificio, ad esempio, mentre la sua superficie, ed i relativi costi in quanto fattori di produzione, incrementano al quadrato, il suo volume, ed il suo relativo potenziale di produzione, incrementano al cubo… come minimo, se paragoni un edificio di un piano ad un grattacielo! E, sempre a proposito, l’apprendimento, l’educazione, l’addestramento, sono senz’altro un altro caso: più investi in essi, più la produzione semplicemente esplode!”

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Adam Smith è il primo caposaldo dell’economia neoclassica, e si contraddice. Da una parte, celebra la divisione del lavoro e la sua relazione con lo scambio in un circolo virtuoso di crescita: “La divisione del lavoro, tuttavia, nella misura in cui la si possa introdurre, determina, in ogni arte, un incremento proporzionale nei poteri produttivi del lavoro.” “Essendo il potere dello scambio che dà luogo alla divisione del lavoro, così l’estensione di questa divisione deve sempre essere limitata dall’estensione di quel potere, o, in altre parole, dall’estensione del mercato.” Dall’altra parte, la sua intenzione era screditare le politiche dirigiste dei mercantilisti e sostenere la causa del “laissez faire” (un’altra etichetta dell’economia neoclassica), ed i benefici della divisione del lavoro e dello scambio erano fra i fondamenti dei mercantilisti.
Perciò li mise da parte quando proseguì con la sua sequenza logica nella quale la “mano invisibile” dell’interesse personale di compratori e venditori alla fine determina un prezzo “centrale” o “naturale” sul “libero” mercato, e pose le radici del concetto di tale prezzo “centrale”, “naturale” nei rendimenti di scala costanti.
Rendimenti di scala costanti è una menzogna statica: non è solo una falsità; è anche statica. Quando affronti una confusione, inizi a riordinarla prendendo qualcosa in essa come punto di riferimento. Dal punto di vista di un ricercatore, una confusione è una quantità di variabili, e per sapere cosa faccia ciascuna di esse, il ricercatore fa in modo di tenere ferme le altre variabili. Ma lo fa con ciascuna di esse, ed una volta che conosca cosa faccia ciascuna variabile, lo riporta. E nel farlo il ricercatore ammette che quelle sono variabili, non elementi statici.
I rendimenti di scala costanti non sono un caso isolato; assumere variabili come elementi statici e poi non restituirle mai alla loro vera natura è pratica standard nell’economia neoclassica. E l’approccio deduttivo dà una grossa mano nel giustificare il non misurarsi con fatti discordanti.
È stato detto che lo spostamento degli economisti neoclassici verso l’analisi statica fu una necessità ideologica. Sul fatto che i loro principi siano deduttivi, statici, ed avulsi dalla realtà si può indagare liberamente e qui stiamo esaminando quelli fondamentali; il punto è: perché? Qual è il movente di tali principi?

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Approccio deduttivo, analisi statica, variabili assunte permanentemente come elementi statici, tutti contribuiscono alla messa in scena di una finzione spacciata come realtà.
Rendimenti di scala crescenti significa un fatto ovvio: un’organizzazione più grande è più competitiva di una più piccola; in altre parole, il più forte è più forte del più debole. Qual è il motivo di cercare di occultarlo?
Illudere il più debole che un più forte ed un più debole non ci siano, ed in tal modo impedire che questi agisca per proteggersi dal più forte. Come?
La verità dei rendimenti di scala crescenti è un fattore dinamico, una variabile che mostra che le aziende più grandi non solo influenzano i prezzi, si avviano lungo la loro strada verso oligopolio e monopolio, e soverchiano quelle più piccole, ma che esse fanno questo attraverso i confini nazionali, man mano che il loro vantaggio competitivo si espande nei mercati. Mostra che i paesi ricchi soverchiano quelli poveri attraverso confini aperti, mostra da cosa il protezionismo protegge i paesi poveri con confini chiusi. Viceversa, la menzogna statica neoclassica dei rendimenti di scala costanti serve gli interessi degli oligo−monopoli e dei paesi ricchi occultando la verità: niente rendimenti di scala crescenti, niente oligo−monopoli né paesi ricchi che soverchiano quelli poveri. Almeno non nelle sacre scritture della scienza economica dominante.
Quando l’organizzazione più forte attacca quella più debole, la più forte vuole campo libero per scatenare la sua forza contro la più debole, mentre la più debole cerca aiuto da terzi per difendersi e proteggersi. Perciò l’organizzazione più forte vuole “libero scambio” e che i governi se ne stiano fuori dai piedi, particolarmente quelli deboli, mentre l’organizzazione più debole vuole che il suo governo intervenga con misure protezioniste. A meno che il suo governo non sia stato illuso che non ci siano un più forte ed un più debole, che non ci sia nessun attacco, e che tutto ciò che sta accadendo sia perfettamente giustificato, naturale, e cosa buona e giusta.

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C’erano, e ci sono, paesi ricchi e paesi poveri, e ci sono ora grandi multinazionali più grosse dei governi, ed il “libero scambio” favorisce i ricchi ed i grossi a spese dei poveri, mentre il protezionismo protegge i poveri. Il mercantilismo ed i mercantilisti “dirigisti” erano protezionisti, l’economia e gli economisti classici e neoclassici erano, e sono, funzionali al giustificare quel “libero scambio” che nella parlata delle varie epoche andava sotto i nomi di ‘colonialismo’, ‘nelcolonialismo’, e ‘globalizzazione’. Adam Smith e gli altri economisti classici prima, e più tardi gli economisti neoclassici, lavoravano per economie più forti quali la Gran Bretagna, e fra gli economisti classici è stato detto che “Josiah Tucker ebbe il candore di riconoscere che quella che era una buona politica per la Gran Bretagna non era buona per i paesi poveri. Sarebbe giudizioso per loro prendere misure protezionistiche per aumentare la produttività nelle loro attività manifatturiere.”
Non è da credere che un attacco vittorioso sia innocuo per la vittima, ed un attacco economico non è diverso da qualunque forma di attacco; come dicono, chi vince piglia tutto, ed è tutto portato via alla vittima: la vittima viene comprata, tutte le sue risorse, un termine su cui meditare, soffocate ed usurpate, e la sua gente diviene proprietà dell’attaccante ed alla sua mercè.

Che cos’è il massimo utilizzo delle capacità?
È la supposizione che tutte le risorse disponibili siano sempre pienamente impiegate. Beh, devi solo andare ad osservare di persona. In realtà, potrebbe essere un po’ difficile là fuori isolare cosa sia una risorsa, ed ancora di più determinare quale sia il suo ammontare disponibile e quanto di esso stia venendo utilizzato. Nel caso della terra, ad esempio, si devono considerare le necessità di flora e fauna, dell’ossigenazione, delle aree allagabili e delle montagne, e delle aree edificate per valutare quanta terra coltivabile è necessaria e non utilizzata.
Tuttavia, tali problemi sono superati da qualcosa che si trova al di sotto di essi; qui il nocciolo è la risorsa più fondamentale: le persone e la loro disponibilità. E senz’altro puoi andare ad osservare di persona anche questo, per non parlare del fatto che su questo nocciolo dell’argomento probabilmente hai le tue esperienze personali.

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Massimo utilizzo delle capacità in termini di fattore umano si traduce in persone che usano il 100 percento delle loro capacità e disponibilità al 100 percento della loro energia per il 100 percento del loro tempo. Beh, persino quelli impegnati a soggiogare l’Uomo sono considerevolmente impegnati a cercare i bottoni giusti da premere per addomesticarlo e metterlo in moto, il che significa che la sua disponibilità non è poi così immediatamente a disposizione. Gli esseri umani devono venire motivati, ed abbiamo visto come il presupposto dell’interesse personale materialistico influenzi sia la quantità che la qualità dell’impegno umano. Le strutture di incentivi sono il ponte fra la natura umana e l’utilizzo delle risorse, e se sono basate su un falso presupposto degradato non solo sono degradanti come descritto sopra, ma del tutto in aggiunta impediscono il pieno utilizzo delle risorse. E dal momento che le persone e la loro disponibilità sono la risorsa più fondamentale perché senza di essa nessun’altra risorsa viene utilizzata, puoi vedere facilmente quanto lontano ci troviamo dal massimo utilizzo globale delle capacità.
Quindi, cosa potrebbe occultare questo presupposto falso? La risorsa fondamentale sono le persone e la loro disponibilità, ed esse devono venire motivate, quindi quale potrebbe essere il motivo per occultare questo?
Una possibilità è proteggere la manipolazione soppressiva della gente. Primo, il presupposto dell’interesse personale materialistico produce strutture di incentivi degradanti nella società, e la degradazione della gente risultante non è limitata all’ostacolarne la motivazione, ma la corrode a tutti i livelli. Secondo, molti potenti interessi sono impegnati nella manipolazione della gente. Presupporre che gli esseri umani non necessitino di motivazione contribuisce a distogliere l’attenzione dall’argomento ed a lasciar procedere così tali attività senza impedimenti ed indisturbate.
Un’altra possibilità è contribuire a spianare la strada ai potenti interessi dietro l’economia neoclassica distruggendo gli ostacoli naturali al loro potere: l’individuo, la comunità, la società, l’identità, il senso civico, la cultura, le istituzioni, e la struttura e l’etica sociale. Se la gente ha bisogno di motivazione, allora la gente produce motivazione; l’intera struttura umana, dall’individuo e dal suo senso dell’identità e dell’etica e del senso civico e della cultura, all’intera struttura sociale come la combinazione di tutti i contributi individuali, è l’immensa struttura di incentivi intrecciata risultante. Come tale, essa è l’ostacolo naturale sia per i criminali che vogliono sfruttare la gente che per i soppressivi che vogliono eliminarla. Presupporre che gli esseri umani non necessitino di motivazione contribuisce a far apparire meno importante l’intera struttura sociale, qualcosa di cui soppressivi e criminali possono più facilmente indurre la gente a disfarsi distrattamente, e, essendo meno importante, a rendere la gente meno incline a mettere in discussione le strutture di incentivi intrecciate nella struttura sociale, rendendole così più facilmente manipolabili.

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Che cos’è la competizione perfetta?
Quando fai ricerche sull’argomento, concludi che l’aggettivo ‘perfetto’ è sinonimo di ‘equo’. Competizione equa e mercato equo significano che nessuno la fa da padrone, e così vediamo come questa sia una condizione ideale avente una quantità di requisiti, ahimè, alquanto idealistici. Wikipedia attualmente ne elenca tredici, precisando che i requisiti effettivi comprendono quelli elencati, e facendo notare che quelli elencati non sono che quelli attualmente prevalenti nella discussione sull’argomento. È comunque interessante ricapitolarli qui per darti un’idea:
Abbastanza compratori−consumatori e venditori−produttori disposti ed in grado di acquistare e fornire i prodotti ad un prezzo di loro gradimento.
Tutti i compratori−consumatori e venditori−produttori sanno tutto quello che c’è da sapere su tutti i prodotti, compresi i loro prezzi ed i loro benefici.
I prodotti concorrenti di venditori−produttori concorrenti sono perfettamente intercambiabili fra loro.
I diritti di proprietà che regolamentano cosa, e quali relativi diritti, siano posseduti e possano quindi essere commerciati sono ben definiti e sanciti.
Non vi sono barriere ai trasferimenti dei prodotti nell’area.
Tutti i partecipanti si adeguano ai prezzi, e nessuno ha un potere di mercato tale da stabilirli.
Non vi sono barriere, almeno a lungo termine, alla perfetta mobilità di qualsiasi fattore di produzione per adattarsi ai cambiamenti nelle condizioni di mercato.
Tutti i venditori−produttori sono liberi di regolarsi, e si regolano, ai livelli di prezzo, apporto e produzione che portano al loro massimo profitto.
Tutti i compratori−consumatori sono liberi di effettuare, ed effettuano, tutte le transazioni che gli procurano la massima utilità economica, come pure liberi di non fare viceversa.
I costi ed i benefici di qualsiasi attività non influenzano terzi, comprendendo in questo nessun effetto collaterale su chiunque degli interventi governativi.
Il costo di qualsiasi transazione in sé stessa è zero, e non aggiunge quindi ad essa alcun costo supplementare.
Le autorità di regolamentazione forniscono regolamentazioni e protezioni eque ed efficaci che eliminano qualsiasi pratica anticoncorrenziale.

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Non è presente nessun fattore che comprometta la presenza sul mercato di abbastanza venditori−produttori da garantire perfetta competizione. Questi sono tutti i fattori che rendono le organizzazioni tanto più competitive quanto più grosse sono o diventano, ed un modo meno eufemistico di definire questa condizione è che il mercato sia a prova di oligo−monopolio. Tali fattori comprendono le economie di scala ed i rendimenti di scala crescenti che abbiamo visto prima, da cui il perchè l’economia neoclassica si basa sul presupposto di rendimenti di scala non crescenti: i rendimenti di scala crescenti distruggono la loro finzione chiamata competizione perfetta.
Voglio dire, ancora una volta puoi dedicarti per un pochino a vedere di persona se nel mondo reale queste condizioni si verifichino in misura completa. Anche se alcune potrebbero non essere così intuitive ed osservabili, tanto che una di esse in particolare sarà appunto la prossima che esamineremo, immagino tu possa farti un’idea. Perciò, a che pro presupporre competizione perfetta?
Ho iniziato dicendo che una competizione perfetta è una competizione equa dove nessuno la fa da padrone, ed appunto in base alle sue definizioni è una competizione dove nessuno ha il potere di imporre il prezzo. È anche vero che tali definizioni sono esse stesse influenzate dall’economia neoclassica, in quanto sono focalizzate sul solo prezzo, ed è stato osservato come a questo proposito l’economia neoclassica manchi di considerare tutte le altre sfaccettature della competizione di mercato, quali la competizione sulla qualità tramite prodotti migliori, la competizione sulla quantità tramite una più ampia scelta e disponibilità come con la grande distribuzione, la competizione sul servizio tramite un’assistenza, una logistica ed una velocità migliori, la competizione sull’informazione attraverso la pubblicità ed il controllo dei media, la competizione sul supporto attraverso il controllo della finanza, della legislazione e della “opinione pubblica”, e certo questa vasta incompletezza si aggiunge al divario fra l’economia neoclassica e la realtà.
Tuttavia, queste definizioni di competizione perfetta vanno comunque al cuore della questione: non c’è che una causa dietro tutti i vari fattori che rendono la competizione imperfetta, ed è l’intenzione di alcuni attori economici di defraudare gli altri con le carte truccate della competizione imperfetta. Come al solito, lo scopo di mettere in scena una menzogna è occultare la verità, e coloro che da questo lucrano.

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Che cos’è l’informazione perfetta?
I suoi libroni dicevano a Wil Coyote di lasciare per ultimo questo principio; dulcis in fundo, c’è scritto. Lui si sta ancora domandando perché.
Per varie ragioni, Wil. Per dirne una, di tutta la scenografia del palco neoclassico, questo è l’elemento più centrale. Per dirne un’altra, essendo un presupposto centrale della scuola di pensiero dominante, è un caso da manuale di un “lo sanno tutti che” che tutti danno per scontato senza nemmeno pensarci, e che chiunque tenga alla propria posizione difficilmente oserebbe mettere in discussione. Per dirne un’altra ancora, mentre viene spacciato come un’assunto innocuo, al contrario è un’enormità; come dice Werner, “Presupporre l’informazione perfetta è una distorsione mostruosa della realtà. Crea un mondo fittizio che non è solo un po’ diverso dalla realtà, ma un mondo che è diametralmente opposto a ciò che costituisce la vera essenza del mondo in cui viviamo. Tutta l’attività economica si basa sul fatto stesso che l’informazione non è distribuita perfettamente ed allo stesso modo.” E per dirne ancora un’altra, sempre Werner, “Dato che la finzione della ‘informazione perfetta’ è un presupposto standard, la maggior parte degli economisti è stata completamente desensibilizzata nei confronti della sua enormità.”
Tanto vasta è questa enormità che restringerò il nostro esame ad un breve sorvolo delle regioni di questa terra quasi incognita che Werner ha mappato per noi, condividendo il suo commento introduttivo: ecco un’occhiata a che aspetto avrebbe un universo parallelo neoclassico di informazione perfetta, se mai esistesse.
Prima che voliamo attraverso lo specchio e questa terra quasi incognita si materializzi all’orizzonte, Wil Coyote suggerisce che chiarisca i termini base che sono apparentemente ovvi: ‘informazione perfetta’. Giusta osservazione, Wil.
Io la chiamo ‘la logistica dei dati e dell’informazione’. È stato detto che la definizione di dato è ‘qualsiasi cosa possa essere conosciuta’, e si potrebbe dire che la definizione di informazione sia ‘dato di valore’, il che implica che sia stato ricevuto, affrontato e valutato. Io direi che una definizione adatta di logistica sia ‘qualsiasi cosa necessaria, ovunque necessaria, ogniqualvolta necessaria’. Ciò premesso, io definirei quella che chiamo la logistica dei dati e dell’informazione come ‘qualsiasi dato ed informazione necessari, ovunque necessari, ogniqualvolta necessari’. Immagino che questa potrebbe essere una buona definizione di ‘informazione perfetta’. Wil Coyote fa un cenno di assenso: adesso possiamo volare attraverso lo specchio e sorvolare l’universo parallelo neoclassico dove tutti sanno già tutto e quindi…

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Non ci sarebbero riunioni. Mentre nell’universo da cui veniamo le nostre organizzazioni investono molto nelle riunioni dove l’informazione è condivisa e produce comprensione e coordinamento.
Non ci sarebbero manifestazioni. Mentre noi investiamo molto in manifestazioni dove l’informazione viene scambiata e produce innovazione e sviluppo.
Non ci sarebbero media. Mentre noi investiamo molto in mezzi per immagazzinare, comunicare e consumare informazione e cultura, alimentando così interi settori produttivi.
Non ci sarebbero revisioni contabili. Mentre noi investiamo molto nel formare ed ingaggiare analisti che districhino i misteri dei registri contabili.
Non ci sarebbero scandali per irregolarità contabili. Mentre noi veniiamo regolarmente pugnalati alle spalle dalle bancarotte fraudolente.
Non ci sarebbero scandali di supermanager superpagati. Mentre noi di tanto in tanto ci indignamo nello scoprirlo.
Non ci sarebbero servizi segreti. Mentre molte delle nostre tasse viene investito per scoprire segreti politici, militari, commerciali, e per tramare contro di noi e le nostre libertà civili e più intime.
Non ci sarebbero politici provenienti dal mondo dello spettacolo. Mentre da noi la celebrità può essere sufficiente per essere eletti alle più alte cariche pubbliche.
Qualsiasi prodotto sarebbe perfettamente noto e disponibile a chiunque. Mentre da noi il più grande collo di bottiglia per i produttori è raggiungere i potenziali compratori attraverso le giungle dei canali di distribuzione e d’informazione, dove i concorrenti si contendono risorse intrinsicamente limitate quali lo spazio sugli scaffali, lo spazio pubblicitario, e lo spazio mentale.
Non ci sarebbe educazione, studio, apprendimento, addestramento. Mentre da noi nessuno “nasce imparato” e quindi abbiamo genitori e famiglie, insegnanti e scuole, professori ed università, bibliotecari e biblioteche, istruttori, colleghi anziani ed aziende, ecc. che trasmettono la nostra conoscenza, il nostro tenore di vita, la nostra cultura e civiltà, e la loro preservazione dipende da esse.
Non ci sarebbero qualifiche richieste né caccia alle teste. Mentre da noi, per far funzionare le nostre organizzazioni, i nostri datori di lavoro le ricercano, privilegiano e ricompensano; e le qualifiche sono così tanto importanti e necessarie da alimentare il settore dei cacciatori di teste.

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Non ci sarebbero attività inerenti la reputazione dei marchi. Mentre da noi i produttori e le loro organizzazioni investono molto nel costruire la loro reputazione fra i clienti come presupposto per quella dei loro prodotti.
Non ci sarebbero miglioramenti e crescita. Mentre noi facciamo scoperte e le condividiamo, il che è nuova informazione, ed usandola produciamo miglioramenti e crescita.
Non ci sarebbero questioni legate alla proprietà dell’informazione. Mentre noi ne abbiamo parecchie, quali la legislazione in merito alla proprietà intellettuale ed alla sua regolamentazione, tutela, violazione e concessione in licenza, in campi tanto diversi quanto il plagio in arte, lo spionaggio industiale, i programmi di aiuti ai paesi in via di sviluppo nel settore della tecnologia.
Non ci sarebbe il settore dell’import−export. Mentre da noi la conosceiza delle lingue, usanze, leggi, tasse, codici e dazi doganali degli altri paesi è una merce di valore.
Non ci sarebbero venditori, rappresentanti, agenti ed intermediari. Mentre da noi lo scarto di informazione fra domanda ed offerta è così vasto, e colmarlo è così importante, che una percentuale rilevante di noi e delle nostre risorse è dedicata a trovare, sviluppare, abbinare ed assistere domanda ed offerta in ogni campo ed in qualsiasi settore.
Non ci sarebbe il settore della consulenza. Mentre da noi tutti i tipi di competenza specifica, commerciale, tecnica e gestionale, sono una merce di grande valore in ogni campo e settore.
Non ci sarebbero consulenti d’investimento. Mentre noi facciamo moltissimo affidamento su di essi per sapere dove investire i nostri risparmi.
Non ci sarebbe industria delle telecomunicazioni. Mentre noi facciamo affidamento su di essa per comunicare, vale a dire, per trasmettere informazione.
Non ci sarebbero scienza e scienziati, ricerca e ricercatori. Mentre noi facciamo affidamento su di essi per la ricerca e scoperta di informazioni sull’ancora sconosciuto.
Non ci sarebbero avvocati e consulenti fiscali. Mentre noi siamo costretti a fare affidamento su di loro da leggi più o meno soppressive.
Non ci sarebbero dottori né certificazioni professionali in genere. Mentre noi facciamo affidamento sui dottori perché si prendano cura della nostra salute, e sulle certificazioni professionali in genere per assicurare che ci si prenda cura di noi in modo appropriato in molti campi complessi, specializzati, ma cruciali.

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Non ci sarebbero funzionari di polizia incaricati delle indagini. Dato che non ci sarebbe nulla da scoprire, e tutti saprebbero tutto, ciò di sicuro sposterebbe il gioco a guardie e ladri su un altro piano…
Probabilmente, non ci sarebbe nemmeno la telepatia: sapremmo già tutto.
A proposito, non ci sarebbero nemmeno economisti.

Dulcis in fundo, non ci sarebbe denaro. Sì: niente quattrini. Perché? Il denaro è la soluzione al problema del baratto, spezzandolo e separando e sganciando l’uno dall’altro i due flussi dello scambio. Il problema del baratto è che non troviamo qualcuno che voglia avere quello che noi vogliamo dare e voglia dare quello che noi vogliamo avere, ma nell’universo parallelo neoclassico della ‘informazione perfetta’ un problema del genere non esiste, vero? Perciò, nessun motivo per inventare il denaro in primo luogo.

Ironicamente quindi, se questo principio della ‘informazione perfetta’ che serve gli interessi superiori dei manipolatori monetari e dei loro complici fosse vero, la materia prima stessa per edificare la loro pietra filosofale, con la quale perpetrare la più grande truffa ed il più grande crimine contro l’umanità della storia umana non esisterebbe in primo luogo.

Beh, questo per quanto riguarda la “informazione perfetta”. Werner osserva: “Non è un’esagerazione dire che ciascuno di noi trascorre gran parte del suo tempo raccogliendo, analizzando, disseminando informazione e comunicandola con gli altri. Essa è l’essenza stessa delle nostre attività. Essa è l’essenza dell’attività commerciale e quindi di ciò che avviene in un’economia. Presupporre informazione perfetta è presupporre che nulla di tutto questo avvenga.”. Mia modesta opinione, se sapessimo già tutto ciò che c’è da sapere, avremmo poco motivo di comunicare. Ed è stato detto che si è tanto vivi quanto si è in grado di comunicare e lo si fa.

Ora, se tutto questo non fosse già abbastanza, si dà anche il caso che un grosso pezzo di scomodo mondo reale si sia preso il disturbo di confutare – o piuttosto di sbugiardare – la teoria neoclassica: la “anomalia” giapponese.

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A dispetto del fatto che il Giappone superasse l’Europa ed il Nord America per 45 anni, dalla seconda guerra mondiale sino alla recessione degli anni ’90, i sostenitori della dottrina neoclassica sostenevano che il suo sistema fosse un ostacolo alla sua prosperità e, abbastanza ovviamente, tale dottrina non conquistava molto consenso in Giappone. Poi venne la recessione, e con essa maggiore ricettività, e la stessa dottrina che non era in grado di replicare il successo passato del Giappone non era nemmeno in grado di porre fine alla sua attuale recessione, nonostante i suoi aderenti facessero in modo di trasformare quella recessione in una prova a favore dei loro modelli e delle loro ricette di “riforme strutturali”; ovvero, “deregolamentazione, liberalizzazione e privatizzazione”.

Vediamo di essere un po’ tecnici a proposito di un primo gruppo di fondamenti teorici neoclassici, sui quali è basato un primo gruppo di ricette neoclassiche. Queste ricette hanno a che vedere con la spesa pubblica ed i tassi di interesse. Werner ci informa circa questi fondamenti.
Il primo non è specifico della teoria neoclassica, ed è che la produzione reale è il risultato delle risorse e della loro produttività. Giusto per essere chiari, quante patate dipende da quanti contadini e terra, e da quanto i contadini siano abili e la terra fertile.
Il secondo, al contrario, è peculiare alla teoria neoclassica, è assunto arbitrariamente come vero proprio come gli altri principi neoclassici discussi prima, e dice che la produzione reale è uguale a quella potenziale. Giusto per essere chiari, tutte le patate che quei contadini e quella terra possono far crescere verranno fatte crescere, sempre e comunque.
Il terzo deriva dalla combinazione dei primi due, ed è che, perché la teoria neoclassica spieghi la realtà e quindi sia vera, per qualunque cambiamento nella produzione ci devono essere cambiamenti corrispondenti nelle – e soltanto nelle – risorse e/o nella loro produttività.
Beh, le scoperte di Werner sul caso giapponese sono che sono tutte false: primo, non ci furono cambiamenti nelle risorse e nella produttività tali da giustificare la recessione; secondo, la produzione reale nel corso della recessione non era pari alla produzione potenziale; e quindi terzo, la teoria neoclassica ha fallìto nello spiegare la realtà.
E questo è quanto circa i fondamenti neoclassici delle ricette sulla spesa pubblica e sui tassi di interesse. Evidentemente, le loro radici dovevano essere in terreni diversi dalla verità, perché le ricette derivate da essi si sono fatte strada nei corridoi del potere a dispetto della verità. Infatti…

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Il governo applicò la dottrina neoclassica e cercò di stimolare l’economia attraverso l’incremento della spesa pubblica. Per ottenere il denaro necessario, privo del fondamento accuratamente celato della sovranità monetaria, e mentre l’economia più debole riduceva ulteriormente il gettito fiscale, il governo non poteva fare a meno di sprofondare lo Stato in un debito sempre più grande. E non ha funzionato. Una spesa pubblica di dimensioni da primato non è riuscita a risollevare l’economia del Giappone dalla recessione. Sembrò avere persino un impatto negativo sulla domanda privata.

La banca centrale applicò la dottrina neoclassica e cercò di stimolare l’economia attraverso delle riduzioni del tasso d’interesse. Per gli usurpatori della sovranità monetaria qualunque interesse su quello che loro creano dal nulla nelle proprie tasche, sia esso positivo, zero, od anche negativo, è irrilevante, e senz’altro ridussero i tassi d’interesse sino a zero. E non ha funzionato. Anche questo non è riuscito ad innescare una ripresa economica significativa.
Cosa abbastanza interessante, i dati di Werner ci mostrano come la relazione causa−effetto fra i tassi d’interesse e la crescita nel mondo reale, se mai ce ne sia una, è l’esatto opposto delle asserzioni neoclassiche: gli economisti neoclassici dicono che i tassi d’interesse sono la causa e la crescita l’effetto, e pertanto usano i tassi d’interesse per stimolare l’economia; i dati del mondo reale documentano come la crescita sia la causa ed i tassi d’interesse siano, se mai, l’effetto, e pertanto come non possa essere contemporaneamente anche il contrario.

A questi fallimenti, le contromosse dei sostenitori della tendenza dominante neoclassica furono due, tipiche e fraudolente: “asserire l’insufficienza”, ed “abbassare l’asticella”.
Quanto all’”asserire l’insufficienza”, l’imbroglio consiste nell’asserire che la cura non stia funzionando perché la sua quantità è insufficiente, e perciò nell’esigere che la “cura” venga persino intensificata. La cura neoclassica per il Giappone fu così “insufficiente” che la “stimolazione” senza precedenti raddoppiò−triplicò il rapporto fra debito pubblico e Prodotto Interno Lordo da un lato, e dall’altro ridusse i tassi d’interesse a zero. Il tipico meccanismo fraudolento qui è spacciare la causa della malattia come la sua cura: sintantochè la vittima può essere indotta a bersela, il criminale soppressivo può dire che la cura non sta funzionando perché la sua quantità è ancora insufficiente e deve venire aumentata, incrementando così la soppressione, e tutto il punto è: cosa farà prima la vittima, si sveglierà o morirà?

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Quanto all’”abbassare l’asticella”, qui l’inbroglio è che se la montagna non vuole andare alla teoria, allora la teoria va alla montagna. Gli economisti dominanti hanno cambiato le carte in tavole ed “aggiustato” la definizione stessa di efficacia in base alla quale le loro teorie dovevano venire giudicate: dalla definizione che etichettarono “mutatis mutandis”, creare una crescita positiva significativa, a quella che etichettarono “ceteris paribus”, impedire una contrazione che si sarebbe “indubbiamente” verificata in loro assenza. Quanto al meccanismo fraudolento tipico, qui, è stato detto che quando non si è in grado di risolvere qualcosa, il solo modo di mantenere una posizione autorevole in materia è dire che non può essere risolta. E, aggiungo io, scopare sotto il tappeto coloro che sono in grado, e coloro che dicono che il re è nudo.

Ma il bello ancora doveva arrivare.
L’inefficacia di entrambe le ricette di spesa pubblica e di riduzione dei tassi d’interesse fu a sua volta sfruttata come prova che la risposta era un altro dogma neoclassico, uno principale: le “riforme strutturali”. “Deregolamentazione, liberalizzazione, privatizzazione…” conosciamo il ritornello e, guarda un po’, il coro che lo cantava ingrossò le sue fila e lo cantò abbastanza forte nella cassa di risonanza compiacente dei media da nascondere la mancanza di evidenza empirica. O, piuttosto, l’evidenza contraria.

Andiamo ora un po’ sul tecnico a proposito di un secondo gruppo di fondamenti teorici neoclassici, sui quali si basa un secondo gruppo di ricette neoclassiche. Queste ricette hanno a che fare con il ritornello: “riforme strutturali”. Werner ci informa anche in merito a questi fondamenti.
Il primo è che, dopo che la spesa pubblica a deficit a prescindere venne promossa come una ricetta per la recessione, improvvisamente ora il conseguente problema del debito era la causa di quella recessione.
Il secondo è il primo gruppo di fondamenti trattati – e confutati – in precedenza: essi ora ritornano in gioco, messi in posizione a forza, per divenire il fondamento per un secondo gruppo di ricette.
Beh, questi non sono nulla di meno che proprio l’intero pacchetto dei presupposti neoclassici i quali, dopo la sua precedente ispezione approfondita, Wil Coyote aveva concluso che descrivono il mondo dei cartoni animati, non quello dell’economia: “Informazione perfetta, competizione perfetta, massimo questo, costante o decrescente quello… non sarebbe male se le leggi dei cartoni valessero anche per il mondo materiale, no? La gente nel mondo reale non si farebbe male seriamente quando precipita sul fondo del canyon… proprio come me!”

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Perciò adesso studiamo le scoperte di Werner circa quanto il Giappone somigli ai cartoni animati. Le nostre conclusioni in merito a quale sia la regione in cui devono essere radicati questi fondamenti perché le ricette conseguenti si facciano strada nei corridoi del potere verranno di conseguenza.

Werner paragona dati concreti sul Regno Unito e gli Stati Uniti da una parte, e Giappone, Corea e Germania dall’altra; nell’era postbellica le economie dei primi sono state plasmate secondo i principi neoclassici e l’approccio assiomatico e deduttivista, mentre quelle dei secondi sono state plasmate in contrasto con quei principi, in base ad un approccio induttivista ed empirico. La significatività di questo confronto è che, dato che banchi di prova troppo stretti potrebbero essere sbilanciati da fattori contingenti, qui le riforme strutturali pretese per il Giappone hanno avuto un banco di prova largo diverse nazioni e lungo mezzo secolo per dar prova di sé; perciò l’evidenza in loro favore dovrebbe essere sia innegabile che abbondante. Vediamo…

Arco temporale: dal 1950 al 2000.
Tasso percentuale di crescita medio del Prodotto Interno Lordo reale:
Stati Uniti: 3,2
Regno Unito: 2,4
Germania: 4,0
Giappone: 6,3
Corea: 7,6
Coefficiente di Gini (spiegato sotto):
Stati Uniti: 40,8
Regno Unito: 36,1
Germania: 30,0
Giappone: 24,9
Corea: 31,6

Lo sai come va con le medie: dicono che dietro la cifra di mezzo pollo per capita ci potrebbe essere mezzo pollo per te e mezzo pollo per me, ma ci potrebbe anche essere un pollo intero per te ed un piatto vuoto per me. E qui è dove entra in gioco il coefficiente di Gini qui sopra: dato quel pollo intero, esso misura l’equità delle sue porzioni. Qui è espresso su una scala dove 100 significa tutto il pollo in un piatto e niente pollo nell’altro, e 0 significa mezzo pollo in entrambi i piatti: più alto il numero, meno eque le porzioni.

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Così qui abbiamo un metro di misura a due stadi:
Primo, possiamo osservare come la realtà abbia sbugiardato l’economia neoclassica ed i suoi sostenitori in termini di risultato generale: contrariamente alle loro asserzioni, i paesi che si sono attenuti a ciò che loro esigono non sono andati meglio di quelli che non lo hanno fatto; al contrario, sono andati alquanto peggio. Ed a questo va aggiunto che per un quinto di quell’arco di tempo il Giappone subì una grave recessione. La nebbia sta incominciando a diradarsi?
Secondo, possiamo osservare pure come la realtà abbia inchiodato l’economia neoclassica ed i suoi sostenitori anche in merito alla disuguaglianza: in aggiunta al produrre di meno in luogo del di più preteso, quel di meno è anche distribuito in maniera più diseguale. Ed a questo bisogna aggiungere la ricaduta sulle vite della gente di questo di meno, amplificato da questa maggiore disuguaglianza, in termini non misurati dalle cifre qui sopra ma che nondimeno costituiscono la qualità della vita, come tasso di disoccupazione, tasso d’infortuni, tasso di criminalità, tasso di suicidi, ecc. La nebbia sta continuando a diradarsi?

Ma poi Werner prosegue, dallo statico al dinamico: quanto sopra delinea il risultato nel corso di quell’arco temporale come quadro generale statico, perciò ora mettiamolo in movimento per osservare più da vicino la relazione fra un cambiamento nel grado di “cura” neoclassica ed un cambiamento nella salute del Giappone.
Anche questo banco di prova dinamico è lungo mezzo secolo perché il Giappone subì una pressione neoclassica costante sin dagli anni ’60, ed iniziò a cambiare significativamente dagli anni ’70 in avanti, sfociando in uno spostamento progressivo ma radicale in quella direzione, il che costituisce un banco di prova ideale per le riforme strutturali neoclassiche per dar prova di sé.

Per misurare il grado crescente di rimodellamento neoclassico dell’economia giapponese Werner cita vari quadranti: l’incremento dei beni manufatturieri importati (un segno di deregolamentazione, liberalizzazione, ecc. e della conseguente globalizzazione), il declino dei finanziamenti alle imprese via prestiti bancari (un segno del finanziamento via azionisti e del conseguente “capitalismo degli azionisti”), l’aumento delle imprese privatizzate in precedenza di proprietà governativa, il decremento delle regolamentazioni governative, l’incremento della mobilità del lavoro, e, in modo particolare, il declino del numero di cartelli espliciti, ufficiali. Werner riporta che essi sono definiti come eccezioni ufficiali alla legge antimonopoli concessi dalla Commissione per la Concorrenza Leale (Fair Trade Commission), e poi confronta il loro numero con il tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo nominale espresso in percentuale su base annuale. Vediamo…

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Arco temporale: dal 1958 al 1998.
Fase uno: gli anni ’50. Entrambi crescono rapidamente: i cartelli aumentano da circa 400 a quasi 1000, il tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo aumenta da circa 6 percento a circa 15 percento.
Fase due: gli anni ’60. Entrambi mantengono una tendenza stabile: i cartelli sono in media quasi 1000, il tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo è in media circa il 15 percento.
Fase tre: dagli anni ’70 agli anni ’90. Entrambi mantengono una tendenza costante al ribasso: i cartelli scendono sino a quasi 0, il tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo scende a meno di 0.

Così qui abbiamo un altro metro di misura, e parla da solo.
Non solo è un banco di prova abbastanza lungo da permettere alle riforme strutturali neoclassiche di dare prova di sé, ma per ampliare ulteriormente il campione si dà anche il caso che esso abbracci, e documenti, una serie completa di tendenze: crescente, stabile, decrescente.
Una conclusione? Nelle parole di Werner, “La stampa finanziaria ed i commentatori eruditi asseriscono quasi giornalmente che i risultati economici del Giappone miglioreranno se verrà adottato un capitalismo in stile statunitense. Tuttavia, la verità è che non c’è nessun fondamento empirico per una tale asserzione. L’argomento delle riforme strutturali deve essere considerato una teoria infondata. Se si consultassero i dati empirici, allora si potrebbe concludere solamente che le riforme strutturali del Giappone in direzione della deregolamentazione e della liberalizzazione sono state accompagnate da una ininterrotta riduzione della crescita economica, sia nel breve periodo che nel lungo termine. Le riforme potranno anche essere “assolutamente volute” da certe parti della società. Tuttavia, è ben lungi dall’essere chiaro come siano “assolutamente necessarie”.
Specialmente negli anni ’90, i propugnatori della riforma strutturale in Giappone si sono confrontati con questo scomodo fatto spostando semplicemente i paletti sulla definizione di riforma strutturale. Man mano che la recessione degli anni ’90 continuava a dispetto della riforma strutturale che accelerava, da parte dei riformatori veniva semplicemente asserito che i continui risultati economici deboli erano dovuti all’insufficienza della riforma: se fossero state messe in atto riforme ancora più profonde, i risultati economici sarebbero migliorati sicuramente. Ovviamente, questo non fa che ampliare la sfera delle affermazioni non comprovate, ma non costituisce prova concreta.”

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Spesso sottolineo l’importanza dell’individuare all’opera la strategia che etichetto “spacciare la causa della malattia come la sua cura”. Nell’affrontare qui la correlazione diretta fra la riplasmatura neoclassica e lo stato dell’economia giapponese, è appropriato avere un’idea del grado di rimodellamento neoclassico correlato con tali risultati; il motivo è confrontare le asserzioni di una sua applicazione insufficiente con il grado effettivo della sua applicazione. Werner ci informa che “alla fine degli anni ’90 la scala delle riforme strutturali aveva raggiunto proporzioni tali che persino i promotori della riforma strutturale ne erano incantati.” Perciò, se un tale grado di applicazione è “insufficiente”, un grado “sufficiente” dove ci porterebbe?
Ed infine, a tutto questo va di nuovo aggiunto il significato di queste aride cifre nella carne delle vite della gente: è importante che prestiamo la dovuta attenzione a questo, perché cifre e grafici potrebbero tendere a venire trascurati come “freddi ed insignificanti”, e potremmo mancare di affrontare pienamente cosa significhi ogni crollo in un grafico in termini di sofferenze reali in vite reali di gente reale come noi. Inoltre, vi sono ulteriori costi sociali – un eufemismo per le sofferenze umane –, nei termini non documentati di tasso di disoccupazione, tasso di infortuni, tasso di criminalità, tasso di suicidi, ecc., che solitamente sfuggono alle cifre degli indici del PIL e di Gili. La nebbia si è diradata del tutto?

Se non lo ha fatto, e qualche banco di nebbia aleggia ancora, spazziamolo via accennando al fatto che molte delle ferite procurate alla gente dai fautori del Pensiero Unico sono di un tipo molto preciso: divide et impera, dividi e domina. Quante guerre fra poveri vengono provocate? Quante vittime vengono causate da ogni guerra fra poveri? Che cos’altro è una guerra fra poveri se non metterci tutti gli uni contro gli altri, per fame o con qualche altro pretesto? E chi sta facendo questo ed è perciò responsabile per tutte le vittime?

Ed ora che la nebbia si è alzata, c’è persino qualcos’altro che diviene visibile dietro a quello. Se mai dovessi essere perplesso dalla posizione di forza del Pensiero Unico e dei suoi falsi dogmi nei campi dei media, dell’educazione, del governo, e non solo in quello della finanza, come ho detto in precedenza, se chiunque ha un prezzo, adesso qualcuno ha il denaro; e questi assunti antisociali, soppressivi sono strumentali nello spianare la strada: più si può essere condizionati a credere che l’interesse egoistico e l’accumulo di ricchezze materiali siano i solo valori motivanti di chiunque, sé stessi compresi, più si è suscettibili di diventare disposti ad avere un prezzo.

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Sin qui, potremmo pensare che Pensiero Unico ed economia neoclassica siano sinonimi, ma non è così: la strategia è più sofisticata. E Werner ci informa dei suoi fattori chiave:
Primo, al centro del tempio formato dagli assunti trattati qui sopra c’è un sancta sanctorum, e contiene i pochissimi di base.
Secondo, la scuola di pensiero neoclassica non è l’unica scuola di pensiero dominante in economia; non solo ci sono anche le scuole di pensiero dominanti classica, neoclassica, nuova classica e del ciclo economico reale, non troppo divergenti, ma ci sono persino scuole di pensiero che sono più divergenti e non di meno anch’esse dominanti: keynesiana, monetarista e fiscalista.
Terzo, indipendentemente da quanto divergenti siano, tutte le scuole di pensiero dominanti in economia condividono quello stesso sancta sanctorum.
Qualcuno potrebbe chiamarlo gioco delle parti; un po’ come i politici che giocano a destra contro sinistra per distrarci da quello che sta succedendo veramente. Non è forse il rimuovere la verità dalla scena e contemporaneamente intasare quella scena di depistaggi la più ovvia strategia di copertura?
D’altro canto, se scopriamo cosa c’è nel sancta sanctorum del Pensiero Unico in Economia, e facciamo luce su di esso, è probabile che questo ci porti da qualche parte.

Nelle parole di Werner, “Possiamo anche identificare svariati aspetti che esse hanno in comune: in primo luogo, sono tutte basate sulla metodologia deduttiva, che inizia dal fare delle supposizioni sulla realtà, e poi procede a costruire dei modelli; in secondo luogo, in generale esse si basano sulla fede che la maggior parte dei mercati sarà in equilibrio…” (un mercato è detto in equilibrio se le entità economiche in esso, persone, gruppi, aziende, ecc. possono regolare le loro relazioni economiche liberamente, senza vincoli od ingerenze, “dove si determina un equilibrio attraverso i movimenti dei prezzi sino al livello che equalizza domanda ed offerta”); “in terzo luogo, tutte concordano sul legame fra il denaro e l’economia … che forma il pilastro fondamentale sul quale sono edificate; ed in quarto luogo, esse tutte non funzionano – dato che sono incapaci di spiegare gli eventi nel ‘mondo reale’, per esempio nella seconda più grande economia. Dato il loro avere in comune il fatto che sembrano non funzionare, è logico pensare che le altre loro caratteristiche in comune possano essere parte del problema. Lo possiamo verificare facilmente, e mettere in tal modo alla prova simultaneamente tutte le teorie macroeconomiche dominanti, se verifichiamo i loro fondamenti comuni, vale a dire il legame da esse postulato fra il denaro e l’economia.”

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E quel legame postulato è che il rapporto fra l’economia ed il denaro sia costante; lo definiscono come il rapporto fra il Prodotto Interno Lordo e la base monetaria. Nella loro formula il Prodotto Interno Lordo è l’ammontare dei prodotti moltiplicato per i loro prezzi, e loro postulano che esso sia uguale all’ammontare di denaro moltiplicato per il numero di volte che passa di mano. Loro chiamano “velocità” il numero di volte che il denaro cambia di mano, e poi dicono che quella velocità sia costante.
Detta così, vera o falsa che sia, non sembra un granché; ma come sempre il diavolo è nei dettagli.

Le formule hanno bisogno di dati, ed i dati sul Prodotto Interno Lordo sono non solo facilmente reperibili, ma anche facilmente definibili. Non così con il denaro. Che cos’è il denaro? Domanda stupida solo in apparenza.
Il racconto della risposta a questa domanda semplice inizia con economisti i quali, in virtù del loro approccio deduttivista, postulano semplicemente che sia il cosa sia il denaro che il quanto ce ne sia siano fatti assodati, e termina con Werner che cita Alan Greenspan, Presidente del Consiglio dei Governatori della Federal Reserve System, il quale nel 2001 dichiara di fronte alla commissione parlamentare bilancio statunitense: “Abbiamo avuto una difficoltà straordinaria nel cercare di trovare il giusto indicatore per misurare il denaro in sé, e nessuna di queste varie misure – M2, M3, … – come meglio possiamo giudicare, sembra avere le caratteristiche necessarie per la monetarietà…”

Ho menzionato in precedenza che cosa siano quei vari M: M1, M2, M3, ecc. sono le etichette inventate dagli economisti per i gradi progressivi di diluizione ed offuscamento del concetto stesso di cosa sia il denaro. E noi ora sappiamo che cosa c’è in corso al di sotto di quelle etichette: manipolazione monetaria tramite usurpazione della sovranità monetaria.
Questo racconto si svolge lungo il sentiero del Mago di Oz, e molti sono i suoi punti interessanti:

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Tanto per cominciare, Werner ci informa di come “la maggior parte dei testi universitari di economia monetaria non offra alcuna risposta appropriata”, e cita alcuni di essi: “i modelli teorici delle economie monetarie spesso forniscono scarse indicazioni circa il come la quantità di moneta che appare nella teoria andrebbe messa in relazione alle misure empiriche della base monetaria”; “una risposta empirica alla definizione di massa monetaria è molto più eclettica della sua controparte teorica”; “la moneta è difficile da definire e misurare” e “è probabile che le divergenze nelle visioni di cosa costituisca moneta aumentino col tempo”.
Gli economisti dapprima provarono la formula con le più deduttiviste, ristrette – ed irreali – fra quelle varie M, come il contante od il denaro emesso dal formale legittimo (concediamoci di usare questi aggettivi, anche se qui ridicoli, per amore di chiarezza) detentore della sovranità monetaria. Ma dato che questi rappresentano solo le briciole di tutte le transazioni, quella era una posizione insostenibile.
Perciò si immersero nel profondo inesplorato mare di quelle varie M, ed alla fine ne riemersero con la loro soluzione: il “moltiplicatore monetario”: cesellarono ardite nuove formule la cui attrattività sta nella loro aumentata complessità, ma il cui risultato netto è, di nuovo, postulare che l’ammontare di tutto quell’inesplorato mare di moneta sia semplicemente proporzionale a quello della moneta discernibile sulla loro spiaggia deduttivista.
Certo, è stato detto che tutte le risposte sono fondamentalmente semplici, e non c’è come il suo opposto per – si spera – rendersene conto. Sull’utilità strategica della complessità, ancora Werner: “Come il lettore percepirà prontamente, ci sono illimitati modi in cui questa espressione può venir resa più complessa, senza aggiungere alcun valore d’informazione, e questo è ciò che è stato effettivamente fatto. Questa maniera alquanto contorta di guardare alla proporzione fra una misura più ampia della massa monetaria … ed una più ristretta … ha anche incoraggiato i ricercatori a postulare (senza prove empiriche) che le misure ampie della moneta siano in una qualche relazione stabile con misure più ristrette,” – dopodichè ci dà un indizio – “e che i depositi bancari siano una mera estensione delle misure ristrette della moneta. Conseguentemente, per decenni è stata avvertita poco la necessità di studiare ulteriormente le origini ed il ruolo dei depositi, l’effettivo funzionamento ed il ruolo economico delle banche o di altre realtà istituzionali che potrebbero fornire importanti informazioni su come funziona l’economia. I deduttivisti potevano tenersi i loro modelli assiomatici e non dovevano avventurarsi fra le stravaganze della realtà.”

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Tornando al loro scopo di dimostrare vero il fondamento delle loro scuole dominanti di Pensiero Unico in Economia, che la “velocità” con la quale il denaro cambia di mano è costante, e che quindi il rapporto fra il Prodotto Interno Lordo e la base monetaria è costante, la questione irrisolta di cosa sia il denaro è sfociata in una licenza per gli economisti di scegliersi la definizione di base monetaria che meglio si confaceva a tale loro scopo: se scegliere una di quelle definizioni non produceva una velocità sufficientemente costante, beh, scegline un’altra. Come dicono, ritenta, sarai più fortunato la prossima volta…
“I libri di testo ed i ricercatori non sono stati disposti a legarsi a nessuna specifica misura della base monetaria, in parte perché ce n’è una varietà così grande fra le quali scegliere.” Sottolinea Werner.

Ma Werner sottolinea anche qualcos’altro: “Questo di per sé, tuttavia, dovrebbe insospettirci: come potrebbe essere alta la fiducia nella scienza economica e nel suo collegamento con la realtà, se quella che sicuramente deve essere una delle variabili più importanti in essa – la quantità di moneta circolante nell’economia – non può essere misurata o definita accuratamente?”

Lo smascheramento del Pensiero Unico in Economia inizia dalla demolizione del suo fondamento: che il rapporto fra il Prodotto Interno Lordo e la base monetaria sia costante. Ed inizia da lì non per caso, e nel modo più schiacciante.
Non per caso perché, cosa questa che non sorprende, il vero scopo nascosto del Pensiero Unico è direttamente connesso al suo fondamento.
Nel modo più schiacciante perché quel fondamento si dimostra falso con qualsiasi definizione di base monetaria.

Dati alla mano, Werner traccia i grafici del rapporto fra il Prodotto Interno Lordo e TUTTE le misure della moneta, e scopre che la “velocità” è altamente variabile nel tempo. Questo fatto è così ineludibile che la sopracitata dichiarazione dell’allora Presidente del Consiglio dei Governatori della Federal Reserve System di fronte alla commissione parlamentare bilancio statunitense nel 2001 ne è un’ammissione a denti stretti.

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Poi, un altro fatto in quei dati sul grafico fa da ponte dal fondamento falso del Pensiero Unico al suo vero scopo nascosto: non solo il rapporto fra il Prodotto Interno Lordo e la base monetaria è altamente variabile, ma in aggiunta lo è a senso unico: verso il basso.
I dati di Werner sono per il Giappone, ma egli riferisce come il Giappone non faccia eccezione, e come molti studi ed economisti abbiano documentato che il rapporto “sembrasse reggere sino ai primi anni ‘70”, e poi “iniziasse a cedere sempre più lungo le cuciture nel corso degli anni ‘80”, perciò… “Un declino nella velocità significava che la base monetaria cresceva più velocemente del PIL nominale. Ma i soldi dove sono finiti?”

Dato che i grafici di Werner mostrano il rapporto per differenti misure della moneta, magari paragonando i grafici si potrebbe trovare un ulteriore indizio interessante: se più una misura della moneta è distaccata da quella alla radice – la moneta emessa dal detentore formale della sovranità monetaria – e più il rapporto risultante declina, questo significherebbe che più la sovranità monetaria viene usurpata, più manipolazione monetaria ha luogo.

Ad ogni modo, Werner pone la domanda fondamentale, e Werner ne trova la risposta: il denaro è andato agli speculatori. Si potrebbe dire non abbia mai lasciato le tasche dei manipolatori monetari.
Questa risposta la si trova ovviamente prendendo di petto essattamente ciò che il Pensiero Unico occulta: i termni della questione sono il Prodotto Interno Lordo e la moneta? Osserviamoli più da vicino.

Non tutte le transazioni che si verificano sono riflesse nel Prodotto Interno Lordo. Quelle finanziarie, speculative, non lo sono. Come il nome stesso suggerisce, il PIL riguarda la produzione; la finanza riguarda la speculazione, non la produzione. Perciò disaggreghiamo sia le transazioni che il denaro usato per esse in quelle che rientrano nel Prodotto Interno Lordo e quelle che non vi rientrano.

Trascurabile dettaglio, osservare più da vicino la moneta qui significa andare alla radice delle cose, diametralmente opposta alla spudorata menzogna di copertura universalmente sostenuta dal potere costituito dominante nella scienza economica. Per chiarirla ulteriormente, fondiamo i termini moneta e credito in un termine unico: potere d’acquisto. Perché? Perché noi ora sappiamo bene che i primi sono spazzati dalle onde dei trucchi legali, mentre il secondo è l’indisturbata corrente sottomarina della sostanza.
La menzogna di copertura è: le banche sono meri intermediari di potere d’acquisto esistente. La verità è: le banche – e solamente le banche – godono del “privilegio” di creare potere d’acquisto dal nulla. Nelle proprie tasche – solo un altro trascurabile dettaglio.

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Una delle difficoltà nel rispondere alla domanda “che cos’è la moneta?” in relazione al Prodotto Interno Lordo è che in questo contesto la moneta è solo quella che cambia di mano, non quella che resta inutilizzata nelle proprie tasche. Ed il trascurabile dettaglio qui sopra chiarisce anche questa difficoltà: praticamente tutta la moneta che cambia di mano è potere d’acquisto creato dal nulla dalle banche.

Una volta disaggregati sia le transazioni che il denaro, Werner rimette alla prova il fondamento neoclassico, ma questa volta separatamente: com’è il rapporto fra le transazioni e la moneta che sono entrambi parte del Prodotto Interno Lordo? Com’è il rapporto fra quelli che non ne fanno entrambi parte? Ossia, come sono le “velocità”, negli ambiti rispettivamente della produzione e della speculazione? Costanti. Entrambe.

Il Prodotto Interno Lordo rappresenta solo le transazioni relative alla produzione, prima di questa disaggregazione veniva confrontato con la moneta usata per le transazioni relative sia alla produzione che alla speculazione, ed il rapporto risultante era calante: c’è un surplus di moneta, e non è relativo alla produzione.
Il rapporto fra le transazioni relative alla produzione e la moneta relativa alla produzione è costante: quel denaro è usato per la produzione.
Il rapporto fra le transazioni relative alla speculazione e la moneta relativa alla speculazione è costante: quell’altro denaro è usato per la speculazione.
Ecco dove sono finiti i soldi.
E, a proposito, confrontare le dimensioni dei lati relativi alla produzione ed alla speculazione nel corso del tempo ci racconta anche un’altra storia interessante: la dimensione e l’andamento del problema.

Poi Werner “segue quei soldi”: chi li controlla, e con quali effetti? Questo filo inizia con il concetto di equilibrio e disequilibrio del mercato, ed un mercato è detto in equilibrio se le entità economiche in esso possono regolare le loro relazioni economiche liberamente, vale a dire i prezzi si spostano liberamente al livello che equalizza domanda ed offerta senza vincoli od ingerenze; un mercato in tale condizione è detto “equilibrarsi”.

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Il Pensiero Unico postula deduttivamente che i mercati siano in equilibrio sulla base dei suoi assunti fondamentali, come quello della informazione perfetta. Abbiamo già visto come tali assunti siano palesemente falsi e come l’approccio deduttivo non sia che una strategia di copertura. La verità è che i mercati sono in disequilibrio, vale a dire sono soggetti a vincoli od interferenze, ed in una tale condizione non si “equilibrano” affatto.

I mercati in disequilibrio sono chiamati anche mercati razionati, intendendo con questo che sono determinati non dai prezzi, ma dalle quantità. In altre parole, un mercato razionato è un mercato nel quale la gente causa lo stato delle cose non attraverso i prezzi, ma attraverso le quantità. E l’uso del verbo “razionare” significa che ciò viene fatto attraverso la scarsità. Qualcuno ha il potere di rendere scarsa la domanda oppure l’offerta di qualcosa, e di sfruttare questo potere per lucrare e controllare. O, piuttosto, per depredare e ridurre in schiavitù.

Ed il fattore razionato nell’economia altro non è che proprio quel potere d’acquisto che le banche creano dal nulla… (nelle proprie tasche, incidentalmente.)
Esso è razionato dal lato dell’offerta: lato domanda, diversamente dai beni, la sua domanda è illimitata; lato offerta, le banche godono del monopolio della posizione privilegiata di essere totalmente libere di decidere sia quanto che a chi.
Pensaci un momento: praticamente tutto il potere d’acquisto circolante nella società come mezzo di scambio è credito creato dalle banche, dal nulla e dal loro privilegio monopolista; questo significa che possono fare come gli pare con esso – e con noi – e quando lo fanno nessun’altra entità economica può intervenire perché nessun’altra entità economica condivide entrambi i suoi monopoli: quello del potere d’acquisto circolante e quello del privilegio di crearlo dal nulla.

Crimine contro l’Umanità: Pensiero Unico in Economia, 39

Si potrebbe dire che la nostra lunga indagine ci abbia alla fine riportato a quello che avevamo sempre saputo: ciò che fa fiorire od appassire quell’organismo chiamato società altro non è che la linfa chiamata potere d’acquisto, che trasporta il nutrimento alle sue cellule, a seconda che il suo flusso sia potenziato oppure ostacolato. E ciò che è vero per l’intero è vero anche per le sue parti.
Nelle parole di Werner, “Questo significa (a) che il mercato del credito è determinato dalla quantità di credito fornito dai creatori del credito, e (b) che quei fornitori – principalmente le banche commerciali – prendono decisioni allocative circa chi otterrà prestiti e chi no. … l’offerta di credito determina il mercato del credito e quindi l’attività economica. L’offerta di credito costituisce un limite vincolante della finanza sulla macroeconomia… Il razionamento del credito da parte del sistema bancario nel suo insieme condurrà anche al razionamento in altri mercati. … Dato che il mercato del credito è determinato dal lato dell’offerta e la decisione circa il se ed il quanto prestare ed a chi prestarlo viene presa interamente dalle banche, una funzione cruciale di bene comune che influenza l’intera economia viene svolta da esse. Esse non soltanto creano la maggior parte del potere d’acquisto nell’economia, ma esse decidono anche chi lo userà per quali scopi. Un mercato razionato significa che alcuni richiedenti prestito vengono accettati, mentre altri vengono respinti. Non c’è nessuna garanzia che la scelta fatta dalle singole banche sia in linea con l’allocazione che massimizzerebbe il benessere sociale. Data la pervasività dell’informazione imperfetta, sarebbe una pura coincidenza se le decisioni delle banche fossero ottimali per il benessere. Infatti, la struttura degli incentivi dei funzionari dei prestiti potrebbe produrre un comportamento orientato verso altri obiettivi rispetto a quelli che sarebbero nell’interesse della popolazione generale (ad esempio, potrebbero favorire grandi imprese in settori consolidati, in quanto questo potrebbe minimizzare il rischio per la sicurezza dei loro posti di lavoro, oppure speculatori mmobiliari, attendendosi alti profitti).”

Crimine contro l’Umanità: Pensiero Unico in Economia, 40

Perciò se il risultato dell’indagine è che, da un lato, dietro le menzogne del Pensiero Unico la verità è che ciò che conta è quanto ed a chi, ossia abbastanza potere d’acquisto dove è produttivo per tutti e niente dove è dannoso, e se, d’altro canto, questo fattore cruciale per il bene comune è lasciato alla discrezione dei suoi monopolisti, conseguentemente Werner deduce che ci sia motivo d’intervento nell’interesse comune, e si chiede se tali interventi abbiano effettivamente luogo – i quali interventi costituirebbero anche prova del fatto che coloro che così intervengono sono consapevoli della verità, dal momento che la usano.
E la risposta che trova è articolata, per così dire.

“Il fatto è che la maggior parte delle banche centrali di tutto il mondo ha implementato precisamente tali controlli del credito. Ad un certo punto i controlli del credito sono stati usati, fra le altre, dalla Banca d’Inghilterra, dalla Banca di Francia, dalla Banca del Giappone, dalla Banca di Corea, dalla Banca della Tailandia, dalla Federal Reserve statunitense, dalla Reichsbank tedesca, dalla Banca Nazionale Austriaca, dalla Banca di Riserva dell’India, dalle banche centrali di Malesia, Indonesia, Taiwan, Cina e da svariate dozzine di banche centrali di paesi in via di sviluppo. Infine, persino l’FMI (il Fondo Monetario Internazionale) nel corso della sua esistenza si è impegnato nella ‘guida diretta’ del credito bancario verso settori specifici dell’economia. Ne risulta che la maggior parte delle economie in rapida crescita al fine d’incrementare la crescita economica si sono basate su procedure di controllo del credito piuttosto formalizzate.
Polak (1997) descrive un tipico esercizio di ‘programmazione finanziaria’ dell’FMI del tipo che il Fondo ha regolarmente implementato in numerosi paesi negli scorsi decenni. Secondo Polak, le informazioni sulla creazione del credito in una nazione cliente vengono disaggregate dal personale dell’FMI, e l’allocazione specifica della creazione del credito a parti diverse dell’economia viene assoggettata alla condizionalità dell’FMI. La creazione di credito per ‘spese non produttive’ riceve il ‘biasimo’ dell’FMI e ce ne si occupa con l’imposizione di ‘vincoli finanziari’, vale a dire, razionamento del credito. Molte più prove si possono raccogliere dai programmi (spesso confidenziali) di aggiustamento strutturale implementati dall’FMI in tutto il mondo in oltre 100 istanze nel corso degli scorsi 50 anni.”

Crimine contro l’Umanità: Pensiero Unico in Economia, 41

Sin qui, la prova che distinguono la verità dalle loro menzogne. Ma quando si tratta di per cosa usino il potere della verità, la questione prende una piega ancora più oscura:

“Se questo è il caso, perché le banche centrali e l’FMI non hanno ammesso apertamente la loro fede de facto nell’economia del disequilibrio? Le banche centrali e l’FMI hanno speso risorse considerevoli per sostenere l’esoterica scienza economica dell’equilibrio … ingaggiando molti costosi economisti e finanziando le loro pubblicazioni. La loro predilezione, per come rivelata dalle loro azioni (in contrapposizione alle loro pubblicazioni ufficiali sull’economia), non si conforma alla loro proclamata ortodossia economica relativamente agli assunti sull’equilibrarsi dei mercati (ma ha senso nel mondo reale dell’economia del disequilibrio). Sembrerebbe che l’FMI adoperi tali modelli essenzialmente neoclassici come strumento politico per giustificare, o per coprire, quello che de facto è intervento diretto da parte di una burocrazia. Mentre ciò in sé è contraddittorio, è probabile che l’FMI si sia trattenuto dall’ammettere pubblicamente la sua fede in modelli più realistici, basati quantitativamente e focalizzati sul credito, perché questo potrebbe minare la sua agenda politica di imposizione di programmi di aggiustamento strutturale predeterminati ed orientati al mercato, che tendono ad aprire a forza i mercati dei paesi in via di sviluppo a beneficio degli investitori stranieri. Come risultato, sia l’FMI che la maggior parte delle banche centrali hanno sminuito l’importanza del controllo del credito in molte pubblicazioni ufficiali. Persino quando i controlli del credito esistono, la loro esistenza è stata frequentemente negata.”

Quando si tratta di affrontare il fatto che certi re autoincoronati sono nudi, un altro po’ delle prove e delle osservazioni di Werner non guasta:

Nel tredicesimo secolo, Marco Polo compì il suo famoso viaggio nell’Impero Mongolo di Kublai Khan. Egli era un mercante esperto, e quindi riportò due fatti illuminanti, causa ed effetto: a) Non solo Kublai Khan deteneva la sovranità monetaria, ma in più emetteva moneta cartacea, fiat ed a corso legale. b) Il Gran Khan aveva “più tesori di chiunque altro al mondo”, e “tutti i grandi potentati del mondo messi assieme non hanno tante ricchezze quante appartengono al Gran Khan”.

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Per quanto esagerato possa essere sembrato ai suoi contemporanei, noi ora sappiamo il suo non essere altro se non la prova concreta che tale è la potenza del denaro, della sovranità monetaria, e della manipolazione monetaria: Kublai Khan evidentemente aveva capito che la moneta fiat poteva trasformare interamente il potere puro in potere d’acquisto. Indipendentemente dal suo essere il primo usurpatore della sovranità monetaria dai suoi legittimi proprietari, i cittadini che producevano, ed indipendemente dalla divisione dei suoi profitti fra lui e questi ultimi, questo fece la differenza rispetto ai sovrani del resto del mondo che non lo avevano capito, e quindi avevano la sovranità monetaria limitata dal valore intrinseco della loro moneta.

Fra le due guerre mondiali, la Reichsbank tedesca, guidata da Hjalmar Schacht, riuscì a riportare la Germania dalle macerie alle minacce, e per di più velocemente. E Werner riferisce altri due fatti illuminanti, causa ed effetto, successivi: a) “Il caso tedesco potrebbe essere un’eccezione fra i paesi industrializzati, dato che la Reichsbank tentò ripetutamente e pubblicamente di spiegare la sua fede nell’importanza della ‘creazione di credito produttivo’.” b) Schacht “era un consigliere popolare in molti paesi in via di sviluppo nel periodo postbellico. L’esempio tedesco ebbe un impatto particolarmente profondo sulle economie dell’Estremo Oriente, fra le quali il Giappone, la Corea e Taiwan. Non fu quindi una sorpresa che lo studio del 1993 dell’IBRD (International Bank for Reconstruction and Development, Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo) sul ‘Miracolo Economico’ dell’Estremo Oriente concludesse che l’intervento nella direzione del credito aveva giocato un ruolo sostanziale nel conseguire una prestazione economica superiore.”

E sul fronte delle menzogne in termini di soluzioni sbagliate, di cause della malattia spacciate attivamente come la sua cura, anche qui Werner indica due esempi illuminanti: prendere in prestito valuta straniera ed invitare investimenti stranieri, dimostrando come entrambi non siano che tradimento travestito da aiuto.
Entrambi sono solitamente considerati importanti per aiutare i paesi in via di sviluppo a svilupparsi e crescere, entrambi crollano come un castello di carte quando la verità fondamentale viene alla luce: il potere d’acquisto della moneta fiat viene creato dal nulla. E le ragioni sono così elementari ed ovvie che formularle esplicitamente sarebbe un insulto alla nostra intelligenza, se non fosse per il fatto che alcuni fanno finta di non vedere o di non capire:

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Prendere in prestito valuta straniera? “Se per mobilizzare delle risorse nazionali sono necessari dei fondi, allora questi si possono creare ‘dal nulla’ attraverso il processo a costo zero della creazione del credito. Perché chiedere prestiti all’estero, e restituire interesse e capitale in valuta straniera, quando si può creare la moneta gratis in casa propria? Dopo tutto, anche le banche straniere stanno semplicemente creando il denaro ‘dal nulla’ attraverso il processo della creazione del credito. Certo, determinati acquisti all’estero potrebbero essere necessari. Ma si possono mantenere ad un minimo, ed in linea con le rimesse dalle esportazioni. … il debito estero, solitamente in valuta estera, va onorato, ed il capitale alla fine restituito. Questo impone dei costi ed un rischio di cambio supplementari. Per molti paesi in via di sviluppo che soffrono di deficit commerciali strutturali (dato che esportano principalmente beni a basso valore aggiunto, i cui prezzi relativi a lungo termine tendono a calare, mentre importano beni ad alto valore aggiunto, i cui prezzi relativi tendono a crescere), le valute tendono a deprezzarsi, facendo così crescere il loro debito reale. Insieme con l’interesse composto, si sviluppa velocemente una trappola di debito crescente.”
Invitare investimenti stranieri? “Al di là che solitamente non sono necessari, gli investimenti stranieri hanno una quantità di svantaggi: primo, gli investitori stranieri sono orientati primariamente ai propri interessi, ed è improbabile che questi coincidano con l’interesse nazionale del paese in via di sviluppo. Secondo, la proprietà straniera dei beni reali come la terra e le fabbriche implica controllo straniero – compreso quello sull’allocare e sul disporre dei profitti, come pure sulla decisione di quando chiudere le fabbriche locali e tirarsi fuori. Terzo, gli investimenti stranieri potrebbero venire incoraggiati da un paese in via di sviluppo per favorire il trasferimento di tecnologia ed il livello di competenze nel paese. Tuttavia, pochi studi sul traferimento di tecnologie hanno mostrato che ai paesi in via di sviluppo venga effettivamente trasferita molta tecnologia. Nel mondo reale della informazione imperfetta, la tecnologia è conoscenza protetta, che le aziende sono riluttanti a condividere. Perciò ci potrebbero essere metodi meno costosi e più efficienti di trasferire tecnologia, non collegati ad investimenti stranieri.

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Un esempio di investimenti stranieri del tutto non necessari sono la Tailandia o la Corea dalla metà alla fine degli anni ’90. Su pressione del Tesoro degli Stati Uniti, dell’FMI e delle loro banche centrali, entrambi i paesi liberalizzarono i loro flussi di capitale. Le banche centrali allora adottarono delle politiche per incoraggiare i prestiti dall’estero, ossia per riaffermare pubblicamente la loro determinazione a mantenere l’ancoramento della valuta nazionale al dollaro, mentre aumentavano i tassi d’interesse interni al di sopra dei tassi del dollaro statunitense. Le aziende in entrambi i paesi reagirono razionalmente, facendosi prestare somme significative da investitori stranieri, a dispetto del fatto che entrambi i paesi avevano risparmi sostanziosi e sistemi bancari funzionanti che avrebbero potuto creare il denaro internamente. Quando gli investitori stranieri decisero di cancellare i loro prestiti con un breve preavviso, furono scatenate bancarotte su larga scala, e gli investitori stranieri poterono acquisire beni e quote di mercato che prima si potevano solo sognare.
Nel frattempo, un esempio di trasferimento di tecnologia di successo è il Giappone, che lo conseguì mandando studenti ed apprendisti all’estero, ed invitando in Giappone esperti stranieri per trasferire la loro conoscenza. Questo metodo non genera il tipo di bustarelle o di guadagni straordinari che gli investimenti stranieri possono generare nel breve termine per un piccolo gruppo di locali, e ci può volere un po’ perché dia i suoi frutti. Ma l’evidenza empirica mostra che questo metodo ha avuto successo nel trasferire solo la tecnologia, senza anche invitare il controllo straniero e drenare le risorse nazionali. In molti paesi in via di sviluppo, tuttavia, i problemi sono più basilari, dato che non stanno nemmeno mobilizzando appropriatamente determinate risorse nazionali, né fanno un utilizzo sufficiente della tecnologia che è già disponibile, e che perciò non ha bisogno di essere pagata in valuta straniera.”

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Inoltre, con la sua svolta nel separare i lati produttivo e speculativo sia dell’economia che della creazione del credito, Werner ci dà anche un’interessante controprova; interessante in sé stessa, ed interessante nelle sue implicazioni.
L’argomento è l’ascesa e caduta delle bolle speculative, e le conseguenti crisi bancarie che trascinano il resto di noi a fondo con loro. Il terreno di prova è il boom e crollo dei prezzi fondiari e degli investimenti esteri giapponesi nel corso degli anni ’80 e primi anni ’90.
Una volta separati i lati produttivo e speculativo, i loro rispettivi funzionamenti interni, adesso visibili, si possono studiare; e lo studio del lato speculativo ha portato alla luce che, proprio come ciò che fa fiorire od appassire l’organismo non è che una cosa sola, ciò che fa fiorire od appassire anche il parassita non è che la stessa cosa: la linfa chiamata potere d’acquisto.
Per il titolo di vera causa dei boom e dei crolli speculativi Werner ha sottoposto molti candidati ad un’ispezione oggettiva dei loro andamenti paragonati a quello del ciclo di boom e crollo giapponese. I candidati erano cambiamenti in: base monetaria della banca centrale, tassi d’interesse nazionali ed esteri, tassi di cambio, posizioni in titoli, stimolazione fiscale e creazione di credito.
I dati empirici delle statistiche hanno mostrato correlazione con il boom ed il crollo, come pure direzione della causalità da esso al boom e crollo, per un solo candidato, la creazione del credito, ed assolutamente nessuna correlazione per nessun altro candidato.

Questo non è solo conclusivo. Questo ha anche una quantità di implicazioni profonde.

Che solo il potere d’acquisto faccia fiorire od appassire l’economia implica che, mancando quello, tutti gli altri “strumenti” sono inefficaci, inutili, se non dannosi. Ed allora perché alcuni insistono su di essi?

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Per esempio, la stimolazione fiscale, vale a dire una politica fiscale di spesa pubblica aumentata (lasciandone da parte l’aspetto relativo alla trappola del debito infinito) nel migliore dei casi è inutile perché, senza incrementare il potere d’acquisto, qualunque quota aumentata di esso che venga gestita dallo stato viene tolta dalle mani dei cittadini attraverso una tassazione aumentata, deprimendo così l’economia mentre cerca di stimolarla.
Per esempio, abbassare i tassi d’interesse senza anche aumentare il potere d’acquisto si è dimostrato inutile, dato che (lasciando ancora una volta da parte l’aspetto relativo alla trappola del debito infinito) abbassare il canone d’affitto di un potere d’acquisto che non è disponibile in primo luogo è difficile possa fare la differenza.
Come altro esempio delle conseguenze dell’insistere sui rimedi sbagliati invece di quello corretto, “molte politiche, specialmente quelle adottate dall’FMI in tali paesi post−crisi si sono concentrate sull’aumentare la stabilità bancaria rendendo più restrittive le procedure di erogazione dei prestiti, la supervisione bancaria ed i requisiti di adeguatezza di capitalizzazione. Queste politiche hanno avuto un impatto negativo significativo sulle prestazioni macroeconomiche, che non è stato spiegato dalla teoria standard.”

Si potrebbe dire che anche questa sfaccettatura dell’indagine di Werner ci abbia alla fine riportato a quello che almeno sospettavamo, se già non lo avevamo sempre saputo… semprechè sappiamo cosa sia uno schema piramidale. Perché i parassiti hanno un’inclinazione per gli schemi piramidali.
Gli usurpatori della sovranità monetaria gonfiano il credito creato per scopi speculativi, e gli investimenti speculativi hanno un boom, siano essi prezzi fondiari, investimenti esteri, o quant’altro. Gli usurpatori della sovranità monetaria strozzano il credito creato per scopi speculativi, e gli investimenti speculativi crollano.
Li chiamiamo parassiti perché sappiamo che la sopravvivenza si basa sulla produzione e sullo scambio equo di reali fattori di sopravvivenza, ed al contrario la speculazione si basa sull’imbrogliare e sul rubare, non sulla produzione e sul suo scambio equo. Perciò da dove provengono i profitti della speculazione?
Si potrebbe dire che, fondamentalmente, qualsiasi cosa che non sia produzione e scambio onesti, se deve durare al di là della fregatura una tantum, diventa uno schema piramidale. Come tale, è intrinsecamente condannato. Ma finchè dura genera profitti per gli speculatori. E gli speculatori formano una piramide nella quale quelli al vertice sono perfettamente consapevoli che la piramide è condannata, e così quando essa crolla loro hanno da lungo tempo pianificato la messa al sicuro del loro bottino, ed il far morire le loro vittime sotto le macerie come contropartita.

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Per mettere tutto questo in prospettiva prima di ritornare sull’argomento di come la scienza economica dominante tratta la vera causa occultata, consideriamo come coloro che sono responsabili per tali crisi le creino in primo luogo, e poi reagiscano ad esse trascinando il resto di noi a fondo.
Le banche creano credito e lo usano per speculazione, direttamente o prestandolo ad altri speculatori. La speculazione non produce nulla di valore, quindi interessi e profitti possono derivare solo da altri speculatori o vittime che alimentino lo schema piramidale. Perché altri speculatori salgano a bordo ed alimentino lo schema piramidale, altro credito deve venire creato per loro dalle banche in primo luogo. Gli speculatori si riempiono le tasche. Quello che viene chiamato “rischio sistemico” cresce. Man mano che cresce, altrettanto fa la pressione di gonfiaggio della bolla speculativa. Più alta la sua pressione di gonfiaggio, meno ci vuole a farla esplodere. È solo questione di tempo, e prima o poi il momento arriva. Maggiore la pressione di gonfiaggio, minore il calo nell’alimentare lo schema che è sufficiente a raggiungere il punto critico, e più violenta la reazione a catena che si scatena. I valori speculativi iniziano a crollare. Nella misura in cui sono vicini al fondo della piramide, gli speculatori iniziano a diventare insolventi od a fare bancarotta. I debiti non onorati dagli speculatori diventano debiti insoluti per le banche. I valori speculativi erano anche stati usati come garanzie sui prestiti, perciò gli attivi delle banche, pignorati o meno, si riducono. Quella che viene chiamata l’“avversione al rischio” delle banche cresce. Man mano che cresce, le banche creano e prestano sempre meno credito e così il potere d’acquisto circolante si contrae. Essendo il potere d’acquisto circolante il fattore decisivo dell’economia, la sua contrazione continua a peggiorarla, indipendentemente da qualunque altro strumento inefficace venga usato. Man mano che l’avversione al rischio delle banche cresce, essa si estende ai debitori produttivi, deprimendo così ulteriormente l’economia. Più l’economia produttiva peggiora, più s’innesca la speculazione al ribasso, e più l’avversione al rischio delle banche cresce, in una spirale discendente autoalimentata. Peggio si mettono le cose, più a lungo noi tutti dovremo pagare un prezzo più alto nelle nostre carni e vite, mentre gli speculatori al vertice si godono il loro bottino.

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In termini di causa ed effetto, se ciò che fa fiorire od appassire un organismo, sia esso una società od un parassita, è la linfa del potere d’acquisto, dei mezzi di credito, pagamento e scambio, allora la causa ultima degli effetti che noi tutti subiamo in pieno, e che gli speculatori stessi subiscono in base alla loro posizione nello schema piramidale, sono coloro che controllano quella linfa: o i legittimi proprietari della sovranità monetaria – tu ed io – o i suoi usurpatori: i manipolatori monetari.

A fronte di tutto questo, qual è la posizione delle scuole e letterature economiche dominanti?
Attingendo ancora da quell’“anomalia giapponese” il cui studio ha ispirato a Werner la sua svolta del separare i flussi produttivi e speculativi, e considerandola per quello che è veramente, un’esposizione di denominatori comuni piuttosto che di elementi contingenti, considererò anche i commenti relativi ad essa come espressione del Pensiero Unico in Economia nel complesso:
“Questo è in contrasto con la letteratura dominante, che non è stata in grado di trovare delle determinanti degli aumenti dei prezzi fondiari, o che ha constatato, come in Hutchinson (1994), che, impiegando l’approccio tradizionale basato sul denaro depositato, ci sono ‘poche prove che i fattori monetari abbiano giocato un ruolo sistematico significativo nelle fluttuazioni dei prezzi fondiari in Giappone’.”

Se questo ti suonasse familiare, potrebbe essere perché istintivamente od esplicitamente sai che “Quando non si è in grado di risolvere un problema, l'unico modo di mantenere una posizione autorevole al riguardo è dire che non può essere risolto.”
Per prima cosa, usando i loro strumenti non sono riusciti a trovare la causa dei fatti; per seconda cosa, usando i loro strumenti non è emersa nessuna relazione fra la causa ipotizzata ed i fatti; per terza cosa, conseguentemente la conclusione è che la causa ipotizzata non è la causa dei fatti e questo è quanto. Giusto?
Sappiamo come vanno queste cose: io ho ragione, tu hai torto, qualunque cosa al di fuori del mio perimetro semplicemente non esiste, e se poi minaccia addirittura di minare la mia posizione…

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Ma in realtà è anche peggio. C’è un metodo nella follia.
Per un burattino, mantenere una posizione autorevole può essere un fine; per un burattinaio, che il burattino la mantenga è un mezzo per conseguire un fine. Ed il fine del burattinaio è che il burattino continui a svolgere la funzione per svolgere la quale il burattinaio lo ha piazzato sul palco in primo luogo.

Apparentemente, il Pensiero Unico in Economia non funziona: raggrruppando sotto tale etichetta tutte le scuole economiche dominanti che condividono i suoi fondamenti a dispetto delle loro apparenti divergenze, i loro strumenti non identificano le vere cause e quindi non migliorano le cose ma sono ininfluenti o, solitamente, addirittura le peggiorano.
Dobbiamo liquidarlo come un mero tentativo non funzionante che ciononostante sopravvive in assenza di strumenti migliori? Siamo seri. Com’è che il Pensiero Unico in Economia è così potente se non funziona? Vuoi dire che ogni età della pietra è il risultato della nostra ignoranza da sola? Senz’altro la nostra ignoranza è un risultato perseguito intensamente, ma qui c’è addirittura di più che solo ignoranza coltivata. Werner, ad esempio, osserva: “Non c’è nessuna prova empirica che una maggiore indipendenza della banca centrale porti ad una inflazione più bassa. Inoltre, non c’è nessuna prova che più indipendenza della banca centrale porti ad una prestazione macroeconomica migliore, in termini di maggiore crescita e minore disoccupazione.” Eppure, “Vi sono molti economisti che sostengono che una maggiore indipendenza della banca centrale sia desiderabile. Tuttavia la ricerca empirica, basata sul lavoro sul campo e sulle interviste con i banchieri centrali, ha indicato che la relazione fra i media ed i banchieri centrali come pure fra gli economisti ed i banchieri centrali potrebbe essere più problematica di quanto comunemente presunto nella letteratura economica.” Elementare Watson, vero?

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Perciò, qual è lo scopo nello spingere qualcosa che non funziona? È l’ovvio per eccellenza: lo scopo professato non è lo scopo reale; lo scopo reale è il fine, professare uno scopo falso è un mezzo per conseguirlo, c’è da aspettarsi che lo scopo professato sia l’opposto di quello reale, e mentre dietro le quinte il conseguimento dello scopo reale funziona alla perfezione e va a gonfie vele, sulla scena è il trionfo del bislinguaggio orwelliano per instillare che due più due fa cinque, e che il continuo fallimento dello scopo professato è in realtà un trionfo. Ciliegina sulla torta, che la libertà è schiavitù, che l’ignoranza è forza e, perché no, che la guerra è pace, possono sempre seguire a tempo debito.

Prova di questo è il comportamento visto in precedenza delle banche centrali, e primo fra tutti dell’FMI: loro non “praticano quello che predicano”. Beh, certo non perderebbero tempo a “predicare quello che non praticano” se l’adorazione del Pensiero Unico non servisse altri fini. E che continuino a farlo da decenni prova che questa liturgia serve tali altri fini decisamente bene.

Prova di questo è anche il metodo deduttivo, per la combinazione dei suoi risultati e posizione. Werner fa notare: “Il fatto che l’approccio deduttivo all’economia, originariamente marginale ed eccentrico, sia oggi divenuto la scuola di pensiero dominante deve essere considerato un fenomeno unico nella storia del pensiero. … È sorprendente quanto gli economisti neoclassici non si facciano problemi a colmare la distanza dal loro mondo totalmente fittizio di modelli irrealistici alla raccomandazione delle politiche che i politici reali devono implementare nella realtà. … La predominanza di questa metodologia è un fatto virtualmente unico fra le discipline accademiche. … se la scienza economica dominante deduttiva avesse avuto successo empiricamente, si sarebbe potuto essere disposti a tollerare la sua metodologia inusuale. Tuttavia, il fatto che esistano grandi sfide ai principi fondamentali della macroeconomia significa che l’approccio deduttivo non è sostenibile.” Ci troviamo di fronte al caso unico di un castello di carte che supera indenne le tempeste come fosse fatto d’acciaio. Questa non è cosa da poco. E prova che dietro devono esserci dei sostegni, e devono essere fatti di acciaio.

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Quindi, se il vero scopo del Pensiero Unico non è “funzionare” – almeno non nel senso in cui lo intendono gli economisti in buona fede: a beneficio della gente – allora qual è lo scopo reale che esso serve, esattamente?

Un primo indizio è che, una volta chiamato il suo bluff, il Pensiero Unico in Economia dopotutto qualcosa lo ha dimostrato: confuta sé stesso.
Siamo di ritorno al punto chiave, cruciale in quel primo assunto base: la parola “SE”. Avevamo notato che quel primo principio contiene una condizione, un requisito? Esso dichiara che andrà tutto bene per tutti… se, purchè, a condizione che. Dal momento che quelle condizioni non si verificheranno mai nel mondo reale, altrettanto esso non produrrà mai i suoi risultati dichiarati.
Così uno si domanda: perché prendersi il disturbo di mettere in piedi un bluff destinato a crollare sotto il proprio stesso peso? Just pour rire – solo per divertimento?
Werner ancora fa notare: “i modelli neoclassici hanno dimostrato alquanto precisamente che i liberi mercati ed il libero commercio porterebbero ad un benessere ottimale, e che l’intervento governativo sarebbe una distorsione inefficiente dell’economia, se e solo se …, l’economia neoclassica ha scoperto che liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione migliorerebbero le economie solamente in situazioni dove tutti avessero informazione perfetta … e così via. Essa ha dimostrato che la domanda sarebbe uguale all’offerta se e solo se … La serie di presupposti altamente restrittivi ed irrealistici su cui i modelli neoclassici sono basati è come le sgradevoli clausole scritte in piccolo nei contratti che vengono facilmente trascurate. Ma hanno implicazioni di vasta portata.”

Il vero scopo del Pensiero Unico in Economia è forse essere un invito strategico all’apatia sull’argomento? Mettere in scena la finzione dell’impossibilità di venire a capo dell’economia per sprofondarci tutti in un’apatia sull’argomento più profonda possibile, per l’ottima ragione che più spessa è la coltre della nostra apatia in merito, più lasciamo campo libero ai manipolatori monetari, e più ampiamente e profondamente essi possono manomettere l’economia?
Certamente, ma questo è solo l’inizio.

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Il Pensiero Unico in Economia è forse un mero strumento di ingegneria e controllo sociale? Certamente, come indica Werner, “Se la maggior parte degli esiti sono dovuti ad anonime forze di mercato, li potremmo accettare più facilmente … Se un prezzo vale per tutti, allora questo sembra equo e trasparente. Ma se la realtà è quella di un disequilibrio pervasivo … allora potrebbero anche esserci prezzi effettivi diversi per persone diverse. Inoltre, alcuni otterranno i beni o gli impieghi, mentre altri, egualmente qualificati, no. Questo diviene particolarmente ovvio quando si considera i tipi di impieghi che a molti di noi piacerebbe avere, perciò dove l’offerta di forza lavoro ne supera di gran lunga la domanda: attori del cinema, annunciatori televisivi, conduttori televisivi, cantanti, modelle, persino pittori di successo, artisti in generale, scrittori e giornalisti. La maggioranza, per la quale tali impieghi non sono disponibili, e che potrebbe avere impieghi meno gratificanti, troverà più facile accettarlo se si dice che tali impieghi sono stati determinati da forze di mercato. I titolari sono semplicemente i migliori, e perciò il mercato, efficientemente, ha allocato gli impieghi a loro. Ma il fatto è che l’eccesso di domanda per tali impieghi significa che il mercato del lavoro in quei settori non si equilibra. È razionato, ed i mercati razionati sono determinati dalla allocazione. Qualcuno ha il potere di scegliere chi avrà una chance sotto forma di un contratto con una casa discografica o per un libro – e chi verrà promosso abbastanza da salire alla ribalta in un mondo caratterizzato da informazione imperfetta e mancanza di conoscenza circa di chi siano le opere realmente di valore. … Analogamente, i programmi offerti alla TV sono necessariamente i migliori programmi possibili che si potrebbero produrre? Le notizie importanti vengono riportate tutte? Oppure i mercati sono razionati, ed un potente dirigente ha semplicemente deciso che certi tipi di programmi dovrebbero essere trasmessi, mentre altra informazione non viene fornita?
Perciò, non si può dire che il meccanismo del mercato sia privo d’importanza. Al contrario, sembra giocare un ruolo importante nella nostra società – ma che sembra ampiamente confinato al mondo della retorica e delle pubbliche relazioni: la retorica del meccanismo del libero mercato serve a nascondere la realtà del razionamento pervasivo, delle decisioni di allocazione non trasparenti, ed il potere degli allocatori di controllare le risorse. Esso pertanto potrebbe servire a rendere la realtà più accettabile, senza troppa resistenza politica o troppe pretese di equità, trasparenza e giustizia sociale. Ironicamente, il vero ruolo del libero mercato potrebbe basarsi sulla realtà dell’informazione imperfetta e del conseguente margine per la manipolazione delle informazioni sulla realtà.”
Senz’altro. Ma, anche se ciò non è certo cosa da poco, dobbiamo pensare che questo sia tutto e quindi fermarci qui?

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Il vero scopo del Pensiero Unico in Economia è forse ripetere il successo del suo “precursore diretto … l’economia neoclassica britannica del diciannovesimo secolo”? Come ci dice Werner, “L’economia classica comparve per servire uno scopo utile all’impero: essa suggeriva che gli altri paesi non avessero bisogno di sviluppare industrie concorrenti, od usare l’intervento governativo, ma al contrario dovessero aprire i loro mercati, senza applicare alcun dazio, alle esportazioni britanniche. Non a caso, l’economia classica venne usata per far avanzare il potere britannico nel mondo.” Abbiamo già trattato la spirale del debito in cui un paese va a cacciarsi esportando solo materie prime a basso valore aggiunto i cui prezzi decrescono nel tempo in cambio dell’importazione di merci ad alto valore aggiunto i cui prezzi crescono nel tempo; qui basta Werner a riportare che “Studiando i fatti tramite una ricerca meticolosa sui documenti storici dello sviluppo economico delle grandi potenze economiche nel corso dei secoli, (Friederich, economista dello sviluppo) List concluse che non c’era una sola grande potenza economica che dovesse il suo successo nello sviluppo alle politiche di libero commercio e libero mercato. … Egli scoprì che sebbene i leader britannici fossero quelli che propagandavano il paradigma del libero mercato più forte di tutti, lo sviluppo economico britannico era dovuto a restrizioni commerciali, protezionismo, intervento governativo, politica industriale ed altre ‘mani visibili’.”
Certamente, l’imperialismo economico è un movente primario, ma quando ci focalizziamo sul fatto che implica una vittima ed un aggressore, pensiamo più in grande di semplici nazioni; pensiamo globale.

Il vero scopo del Pensiero Unico in Economia è forse consentire ai manipolatori monetari – manipolatori monetari globali – di “praticare il contrario di quello che predicano” indisturbati? Così che coloro che controllano le banche centrali, l’FMI e tutto il resto possano andare avanti per sempre a dissanguare impunemente intere nazioni, travestendo la predazione da terapia pesante ma ineluttabile e da colpa delle loro vittime in ogni caso?
Certamente, ma questi sono bersagli meramente tattici, non strategici.

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Il Pensiero Unico in Economia è uno strumento strategico di occultamento e depistaggio messo all’opera universalmente, non uno tattico usato eccezionalmente. Confido che trovi questo ovvio, e che conseguentemente tu possa notare facilmente come i suoi vari aspetti siano universalmente applicabili – ed universalmente applicati.
Fra le sue ovvie funzioni chiave di occultamento e depistaggio ci sono: tenerci lontano dalla realtà dei fatti e dall’induttivismo che la rivela e che mostra le menzogne deduttiviste, mettere il predatore dalla parte della ragione e la vittima dalla parte del torto, ed indurre con l’inganno la vittima a credere che non vi sia alcun aggressore ed alcuna aggressione in corso e quindi ad abbandonare qualsiasi difesa ed a stendere il tappeto rosso all’aggressore.

Quanto al tenerci lontano dalla realtà dei fatti, il deduttivismo è la sua ossatura vera e propria, ed esso occulta sia gli effetti che le loro cause, sia i fatti che i loro responsabili.
Li occulta completamente e sistematicamente omettendoli deliberatamente sin dall’inizio, in tutti i suoi assiomi deduttivisti non sostenuti dai fatti, e poi omettendoli deliberatamente da cima a fondo, in tutti i suoi assunti derivati anch’essi non sostenuti dai fatti. E noi sappiamo che la stortura più difficile da individuare è ciò che dovrebbe essere lì e non c’è.
Alla luce di questo assume una certa rilevanza come il deduttivismo – o piuttosto la forza propulsiva dietro di esso – educhi gli economisti, ed anche le altre professioni e le altre persone, a rigettare la realtà: individualmente e collettivamente, in ogni modo possibile, attraverso qualsiasi possibile stato di coscienza, dall’intenzionale all’ipnotico, e sappiamo come vanno queste cose, vero? Con una inclinazione per certi fatti quali la “retrocessione ad uno status secondario di quelle branche della scienza economica che guardano effettivamente alla realtà”.
E per mettere in prospettiva sia la funzione di occultamento e depistaggio del Pensiero Unico che il suo essere basato sul deduttivismo, potrebbe tornare utile rivedere qualcuna delle sue istanze viste in precedenza:

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Postulare che i mercati siano in equilibrio per occultare sia il fatto che essi sono in disequilibrio, che la sua causa: i mercati sono razionati dai manipolatori monetari.
Postulare che la produzione effettiva sia uguale alla produzione potenziale per occultare sia l’effetto, che la produzione effettiva è inferiore a quella potenziale, che la sua causa: il razionamento del credito da parte dei manipolatori monetari.
Postulare sia il Prodotto Interno Lordo che la massa monetaria come indistinte entità complessive per occultare il fatto che produzione e finanza sono due flussi distinti e separati, ed occultare così l’esistenza stessa della finanza la quale, controllata dai manipolatori monetari, specula e cresce a spese della produzione.
Sebbene questi fattori occultati siano solo l’inizio, non ancora il sancta sanctorum, ce ne potrebbe essere già abbastanza per concludere che il metodo deduttivista sia intrinsecamente fraudolento: se il tuo scopo è nascondere qualcosa e distogliere l’attenzione da esso, allora immagino che difficilmente potresti architettare un metodo più allineato ad un tale scopo del deduttivismo.
Incidentalmente, ci si potrebbe aspettare che i deduttivisti, o piuttosto i loro mandanti, e gli induttivisti siano in guerra sulla memoria storica ed i dati empirici, per l’ovvia ragione che questi sono gli archivi della realtà passata e presente sulla cui base gli induttivisti possono sbugiardare le frodi deduttiviste. E dal momento che sappiamo che esiste una pressione soppressiva generale mirante a distruggere le persone, e che distruggere ciò che conosce è parte del distruggere qualcuno, allora sappiamo anche che cos’è essenzialmente qualsiasi spinta in quella direzione da parte dei deduttivisti.

Quanto al mettere il predatore dalla parte della ragione e la vittima dalla parte del torto, a questo fine il Pensiero Unico ricorre alle sue radici: la sua visione dell’Uomo e del mondo, e conseguentemente dell’economia.

Crimine contro l’Umanità: Pensiero Unico in Economia, 56

Come ho detto, qualunque cosa che sia potente è un bersaglio dei soppressivi e prima della scienza economica anche la filosofia e la religione sono state prese di mira, e si potrebbe dire che sotto una tale influenza lo scisma protestante è stato un salto dalla padella nella brace. Se il Cattolicesimo, essendo infiltrato, strumentalizzava la solidarietà per colpevolizzare ed attaccare l’iniziativa, il Protestantesimo, essendo anch’esso infiltrato, ha reagito strumentalizzando l’iniziativa per colpevolizzare ed attaccare la solidarietà. È stato detto che il Protestantesimo, nel diventare liberismo economico, da Martin Lutero ad Adam Smith, abbia rivoltato l’Etica completamente, da “quello che è giusto mi conviene” a “quel che mi conviene è giusto”. Questa inversione dell’Etica fu rafforzata ulteriormente quando il Darwinismo venne infiltrato e strumentalizzato al di là delle asserzioni di Darwin per puntellare il materialismo ed il Darwinismo sociale.
Ne scaturisce per prima una visione deduttivista dell’Uomo, della vita e dell’economia, nella quale ogni individuo è motivato dalla meta dell’interesse egoistico e della ricchezza materiale soltanto, e da null’altro. In altre parole, al diavolo il suo prossimo, tutte le altre forme di vita, il mondo intero ed il loro futuro. Osservare la realtà, la gente e la vita che prosperano nella misura in cui cooperano dimostra che questo è un primo cumulo di menzogne. Ma nella misura in cui uno può essere indotto a prendere per buone quelle invece della realtà, questi contribuisce attivamente a scavarsi la propria fossa e quella di tutti spingendo la vita proprio in quella direzione, variamente etichettata competizione sfrenata, ruota del criceto, frustrazione, infelicità, alienazione, stress, espropriazione dei diritti civili, insostenibilità, ecc. Dopo tutto, se quello di cui hai bisogno veramente è A e con il lavaggio del cervello ti inducono al perseguimento di qualsiasi altra cosa, finirai in una spirale discendente di B, C, D… mentre il tuo bisogno insoddisfatto ti consuma sempre più.
Ne scaturisce per secondo lo spacciare l’“etica” della sopravvivenza del più “adatto”: cane−mangia−cane, homo homini lupus, mors tua vita mea sono “naturali”, le cose stanno così e basta, e perciò sono cosa buona e giusta. Le prime implicazioni sono che anche attaccare ed essere attaccati, sconfiggere ed essere sconfitti, defraudare ed essere defraudati sono cosa buona e giusta. Le implicazioni successive sono che l’aggressore è superiore e la vittima inferiore, e perciò che attaccare e sconfiggere è di per sé essere dalla parte della ragione, e venire attaccati e sconfitti è di per sé essere dalla parte del torto. L’aggressore merita di vincere perché è un aggressore, la vittima merita di perdere perché è una vittima. Questa è l’intera logica. E tutto il punto sta nello spostare la colpa dall’aggressore all’aggredito, dall’oppressore alla vittima, dai manipolatori monetari a tutti noi. Più la vittima incolpa un perché sbagliato, sé stessa, meglio è per il vero perché, l’aggressore.

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Per non parlare del puro e semplice effetto divide et impera, dividi e domina, del metterci tutti gli uni contro gli altri. Una sfaccettatura la cui immensa ricaduta dovrebbe indurci a diventare esperti nel riconoscerlo all’opera.
A coloro che sanno per osservazione come la vera etica della sopravvivenza sia giusto un filo diversa, questa visione sembra un po’ stramba. A coloro che sanno anche come un soppressivo veda gli altri, sembra meno stramba. In una certa misura, tutti noi potremmo tendere a vedere gli altri come noi stessi siamo, ed è stato detto che i criminali in effetti vedono gli altri come loro stessi sono. Non sorprende quindi che in una certa misura tendiamo tutti ad agire su questa base, e che i criminali lo facciano al di sopra della media – il che non è certo privo di effetti. Il cuore stesso del Pensiero Unico è soppressivo, quindi qualsiasi risultato soppressivo che ne derivi non ci dovrebbe sorprendere affatto.

Quanto all’ingannare la vittima inducendola a stendere il tappeto rosso all’aggressore, senz’altro questa è una soluzione ancora più radicale: non c’è bisogno di mettere l’aggressore dalla parte della ragione e la vittima dalla parte del torto, per l’ottima ragione che non c’è alcuna aggressione in corso in primo luogo, e quindi non c’è nessun aggressore e nessun aggredito, e niente da cui difendersi. Ed i morti e feriti? Povere vittime di “errori grossolani” che si eviterebbero semplicemente aderendo di più ai nostri dogmatici “rimedi miracolosi”.
Ed ancora una volta la parola chiave qui è “dogmatici”: più i manipolatori monetari hanno successo nell’issare i fondamenti del loro Pensiero Unico sul piedistallo del “tutti sanno che”, più l’idea stessa di metterli in discussione abbandona le menti delle loro vittime, e come risultato la colpa sarà addossata altrove ad una causa in ogni caso sbagliata, e la strada è spianata allo spacciare la causa della malattia come la sua cura. Ecco un paio di dogmi emblematici, ancora nelle parole di Werner:

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Secondo il dogma del “vantaggio comparativo”, per far andar bene le cose tutti i paesi devono “concentrarsi sul loro vantaggio comparativo”; tradotto per i paesi poveri ed in via di sviluppo questo diventa “nessuna necessità di sviluppare industrie indigene”, mentre “dovevano continuare a produrre materie prime a basso valore aggiunto ed a basso prezzo, i cui prezzi relativi è noto che declinano inesorabilmente, mentre i loro consumatori devono comprare i prodotti finiti all’estero, a prezzi relativi in costante aumento – importandoli dai maggiori azionisti dell’FMI e della Banca Mondiale. Dato che le ben note tendenze a lungo termine dei prezzi in calo delle materie prime e di quelli in aumento dei prodotti finiti significano che i paesi in via di sviluppo riceveranno sempre di meno per le loro esportazioni, mentre devono pagare sempre di più per le loro importazioni, essi non possono fare a meno di indebitarsi con i paesi ricchi. Quando il debito diventa grande, l’FMI sembra pronto a prendere il controllo del governo e ad organizzare ulteriori ‘benefiche’ riforme mercatiste, quali il taglio ai sussidi alimentari ed alla spesa sociale, mentre si impadronisce di risorse nazionali chiave come garanzie per gli investitori stranieri.”
Secondo il dogma del “flusso libero del capitale”, per far andar bene le cose tutti i paesi devono attuare una “liberalizzazione dei flussi internazionali di capitali”; tradotto per i paesi poveri ed in via di sviluppo questo diventa che essi “si sono solo indebitati maggiormente, spendendo una quota crescente delle loro risorse per i pagamenti degli interessi e degli interessi sugli interessi. Spesso, i pagamenti per interesse da soli sono superiori a qualsiasi prestito iniziale ricevuto. Inoltre, la liberalizzazione dei flussi internazionali di capitali che veniva esortata con forza per i paesi in via di sviluppo dal Tesoro statunitense, dall’FMI e dalle altre organizzazioni internazionali neoliberali ha spesso prodotto disastri economici importanti, sotto forma di crisi delle bilance dei pagamenti e di crolli delle valute e dei mercati finanziari, come accaduto durante la crisi asiatica o molte volte in America Latina.”
Aggiungiamo al dogma del “vantaggio comparativo” il principio della ripartizione del rischio contrapposto a quello della dipendenza economica, aggiungiamo al dogma del “flusso libero del capitale” quello che ora sappiamo sulla sovranità monetaria contrapposto a quello che ora sappiamo sulla sua usurpazione, e poi chiediamoci cosa ci vuole per coprire tutto questo come “qui non c’è in corso alcun attacco”.

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E quella contro il Giappone di turno non è solo mera rappresaglia; questa tattica ha una funzione precisa nella strategia: rinchiudere la pecora nera nel recinto ha l’ovvio duplice scopo di tosarla con il resto del gregge, e contemporaneamente rimuovere l’esempio vivente della sua salute e libertà dalla vista del gregge. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore… prima che qualcuno noti la falla nel sistema.

Parlando della tattica contro il Giappone, Werner osserva: “I persistenti surplus della bilancia commerciale risultanti dal successo economico del Giappone erano di proporzioni tali che scatenarono un intervento serio e ripetuto da parte degli Stati Uniti.” Sin qui, ha senso; ma che dire del resto? “Ciò si riflesse in una serie di negoziazioni commerciali protratte, durante le quali i rappresentanti commerciali statunitensi elencarono i modi in cui l’economia del Giappone differiva dai modelli teorici neoclassici, e pretesero che cambiasse.” Dico, pensiamo davvero che tali pretese potessero mai essere intese ad aiutare il Giappone a risolvere i suoi supposti “difetti”… e così incrementare ulteriormente il suo successo e conseguenti surplus commerciali? Pensiamo davvero che qualsiasi Giapponese che non avesse qualche rotella fuori posto lo avrebbe pensato? Siamo seri. Se gli assedianti si sono fatti strada nella fortezza giapponese, pensiamo veramente che potrebbe esserci una qualsiasi altra ragione oltre ad una quinta colonna che ha sbloccato le porte dall’interno?

Ma adesso smettiamola di giocherellare con casi e tattiche specifici, e torniamo al punto ed alla strategia. Se un tabernacolo va giudicato dalla tenda intessuta per nasconderlo, allora quale Santo Graal è nascosto dietro il Pensiero Unico in Economia?

In una parola, è la pietra filosofale stessa.
Quel Santo Graal, ovviamente o sorprendentemente a seconda che si conosca davvero l’argomento o no, è la manipolazione monetaria ed i manipolatori monetari; l’usurpazione della sovranità monetaria da parte dei manipolatori monetari, il loro potere conseguente, e la ricaduta del suo esercizio su tutti noi.
In Crimine contro l’Umanità: Banche “Nazionali”, “Federali”, “Centrali” sopra ti ho promesso un “rapporto dettagliato sullo sfruttamento del potere specifico di controllare la base monetaria stessa, tramite il controllo esercitato su tutte le banche dalla banca centrale”: eccolo qui.

Crimine contro l’Umanità: Pensiero Unico in Economia, 60

Tradotto da Werner nella parlata contemporanea:
“Strettamente parlando, l’economia neoclassica non ha alcun ruolo per il denaro nei suoi modelli. Ed in quei modelli che a malincuore introducono il denaro non c’è posto per la funzione delle banche.”
Scomposto nei suoi componenti principali rivelati da Werner:
quanto denaro e per cosa è il fattore decisivo della salute economica;
le banche centrali e le banche non sono meri intermediari del credito esistente, ma creano credito;
il loro credito non è denaro ma è accettato come se lo fosse;
solamente loro godono del privilegio di creare tale credito “moneta”;
praticamente tutto il denaro esistente è costituito dal loro credito “moneta”;
le banche centrali impongono alle banche quanto denaro e per cosa complessivamente, e le banche lo impongono nel dettaglio;
conseguentemente, in definitiva le banche centrali controllano la salute economica;
il loro potere è totalmente illimitato ed arbitrario: senza alcuna limitazione di sorta, legale, materiale o di qualunque altro tipo, ed al di fuori ed al di sopra di qualunque giurisdizione, responsabilità, esame, controllo democratici e simili da parte di chicchessia;
per insabbiare il loro potere, essi possono usare il Pensiero Unico in Economia per mentire ai loro governi, fingendo di avere solo strumenti inefficaci quali i tassi d’interesse, così da ingannare e manipolare i loro governi ed allo stesso tempo continuare a nascondere ed usare lo strumento che funziona davvero: la creazione di credito.
Scomposto ulteriormente nei suoi componenti principali supplementari:
il loro “privilegio” di creare “moneta” comprende il crearla dal nulla nelle loro tasche;
tale “privilegio” altro non è che l’usurpazione della sovranità monetaria;
ed essi ne raccolgono i profitti per intero: capitale, interesse, interesse composto, e magari garanzie pignorate per, fondamentalmente, aver prestato nulla dal nulla;
essi sono la vera e sola causa della salute economica;
essi hanno potere di vita o di morte sulle loro economie;
essi lo esercitano a loro piacimento, per sfruttare, espropriare, ridurre in schiavitù e distruggere le loro economie;
essi fanno questo non soltanto per meri ambizione ed interesse personali, ma agli ordini ed a vantaggio di coloro che li hanno messi lì, i quali perciò possiamo a ragion veduta chiamare i loro burattinai.
Ed infine riassunto in un singolo termine:
crimine premeditato contro l’Umanità.

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L’insabbiamento della manipolazione monetaria è così scaltro, profondo e dogmatico che “si basano sull’equazione quantitativa tradizionale che collega la moneta all’economia” la quale, come abbiamo visto, la toglie di scena sin dall’inizio. L’insabbiamento del “privilegio” alquanto unico dei manipolatori monetari è così ferreo, sistematico e completo che non sorprende come “in parole povere, gli economisti non riescono a spiegare perché le banche esistano, o perché solo esse apparentemente possiedano qualche qualità speciale che dà loro un potere monopolistico su certi mercati.”

Per mettere questo insabbiamento in prospettiva, ancora Werner, “La nostra conclusione è che la caratteristica delle banche di essere creatrici di credito (che si potrebbe anche chiamare la loro capacità di ‘creare denaro’) è ciò che le rende speciali. Questa caratteristica spiega anche perché i banchieri siano rapidamente divenuti potenti ed influenti, ed abbiano potuto espandersi facilmente in vari settori industriali, divenendo velocemente il nucleo di una rete di aziende affiliate che hanno fondato o comperato in blocco (la vita è molto più facile quando si ha la licenza di stampare moneta).”
E per mettere questo insabbiamento in prospettiva ancora più in profondità… “I libri di economia e finanza dominanti danno l’impressione che, storicamente, le prime società siano passati dal baratto al denaro merce, e poi ai metalli preziosi ed alle monete. L’attività bancaria, le altre istituzioni finanziarie e gli strumenti finanziari vengono spesso trattati come un fenomeno recente. … molte teorie moderne enfatizzano gli indicatori ‘contante’ ed ‘aggregato monetario ristretto’, nonostante le transazioni in contanti rappresentino una piccola percentuale di tutte le transazioni (solitamente meno del 5%). È con una tale analisi in mente che fu sviluppata la ‘equazione quantitativa’, che collega tale denaro contante all’attività economica. Le banche erano perciò di secondario – o di nessun – interesse per gli economisti. … Oggi gli storici hanno dimostrato – sebbene ciò sia poco noto alla maggior parte degli economisti – che l’attività bancaria si sviluppò molto prima, e le transazioni creditizie con ogni probabilità precedettero lo sviluppo del denaro. Praticamente in tutti i casi, questi sistemi bancari portarono allo sviluppo di economie dominate da transazioni non in contanti e non monetarie. … Scopriamo così che l’attività bancaria è stata al cuore dell’attività economica umana per migliaia di anni. Essa è stata anche un aspetto importante dell’economia politica, ed attraverso il suo legame con la guerra ha contribuito rimodellare la storia del mondo. Dati questi fatti, ci aspetteremmo che o l’attività bancaria costituisse il legame cruciale fra il lato monetario/finanziario e la ‘economia reale’, o che almeno gettasse una luce sostanziale su di esso. Perché quindi le attività bancarie sono state trascurate così a lungo dagli economisti?”

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L’eliminazione orwelliana dell’attività bancaria si spinge così indietro nella nostra storia che potrebbe ben confermare gli estratti biblici che ho citato prima, la cui principale importanza è la loro esistenza, a prescindere da chi ne sia stato l’autore, come: “Puoi applicare un interesse allo straniero, ma non puoi applicare un interesse al tuo fratello, affinché il SIGNORE tuo Dio possa benedirti in tutto ciò che intraprendi nel paese nel quale stai entrando per prenderne possesso.” “Poiché il SIGNORE tuo Dio ti benedirà, come ti ha promesso, e tu farai prestiti a molte nazioni, ma tu non chiederai prestiti, e tu dominerai su molte nazioni, ma esse non domineranno su di te.”
Come pure l’ipotesi che “quando prese una frusta e li cacciò dal Tempio … Compiendo quest’atto di rivalsa contro gli usurai Cristo firmò la propria condanna a morte.”

Queste non sono mere combinazioni di eventi casuali che accadono e basta, nell’immediato o nel corso del tempo che sia. Quella che abbiamo puntata dritta addosso è un’operazione.

Conoscendo la nostra inclinazione ad essere “ragionevoli” quando affrontiamo il male, qualche altra prova da Werner che si tratti di un’operazione non guasta. E così, tenendo d’occhio le date:
“Il collegamento fra il credito e la macroeconomia non è stato oggetto di molti commenti nel ventesimo secolo, sebbene ai suoi inizi questa teoria fosse sufficientemente diffusa da giustificare la voce seguente nella Enciclopedia Britannica (edizione 1910−11):
‘L’immensa crescita del credito, e la sua incarnazione in strumenti che possono essere usati come sostituti della moneta, ha portato alla promulgazione di una visione rispetto al valore della moneta che si potrebbe chiamare la Teoria del Credito. Secondo i fautori di questa dottrina, l’ammontare reale di moneta metallica non ha che un effetto insignificante sul livello dei prezzi, e conseguentemente sul valore della moneta. Quello che è veramente importante è il volume degli strumenti di credito in circolazione. È dal loro ammontare che dipendono i movimenti dei prezzi. L’oro non è diventato che gli spiccioli dei mercati all’ingrosso, e la sua quantità come determinante dei prezzi non è comparativamente importante.’ …

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Ma a dispetto di queste intuizioni iniziali e di occasionali sprazzi di ricerca focalizzata sul credito, il suo ruolo nelle teorie dominanti è rimasto troppo ridotto. Secondo Schumpeter (1954), ‘si dimostrava straordinariamente difficile per gli economisti il riconoscere che i prestiti bancari e gli investimenti bancari effettivamente creano depositi. Infatti, in tutto il periodo oggetto del sondaggio essi si rifiutarono di far questo praticamente all’unanimità.’ …
Schumpeter nota il fatto persino più curioso per cui quegli economisti che sembravano aver riconosciuto questo ad un certo punto, poi abrogassero completamente l’idea alcuni anni più tardi: Keynes riconobbe la funzione delle banche quali creatrici del credito nel suo Trattato del 1930, ma il ‘prestito bancario creatore di deposito, ed il suo ruolo nel finanziamento degli investimenti senza alcun precedente risparmio delle somme così prestate è praticamente scomparso nello schema analitico della Teoria Generale, dove è di nuovo il pubblico risparmiatore ad occupare la scena. Il Keynesismo Ortodosso è di fatto ritornato alla visione precedente … Se ciò significhi progresso o regresso, questo ogni economista lo deve decidere da sé.’”

È alquanto interessante notare chi fosse l’economista che ha cambiato le carte in tavola in questo modo: John Maynard Keynes, il fondatore di una scuola economica dominante apparentemente antitetica all’economia neoclassica e ciononostante tutt’oggi ancora acclamata, avviato a divenire una figura dominante negli eventi economici, e politici, di quel periodo. Considerando da un lato come entrambe le scuole condividano il fingere di non vedere la falsità dei fondamenti che abbiamo visto, e dall’altro come qualsiasi scuola economica che copra l’usurpazione della sovranità monetaria faccia il gioco dei suoi usurpatori indipendentemente dal fatto che propugnino il pareggio di bilancio o la spesa a deficit, ce n’è abbastanza per guardare a Keynes, al suo cambiare le carte in tavola, al suo successo, ed alla loro relazione cronologica con qualche sospetto.

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E già che stiamo parlando delle dimensioni di quest’operazione, potremmo considerare quanto sopra come un campione della sua profondità; e allora, come campione della sua larghezza potremmo indugiare brevemente nella diffusione peculiare fra le scuole di pensiero economico di questo strano disturbo che le porta a rifiutarsi ostinatamente di vedere quel che hanno davanti al naso ed a guardare dall’altra parte, quando si tratta di sovranità monetaria. Ciò che rende persino più interessante la diffusione di questa malattia è che si estende a scuole economiche che sono alquanto antitetiche, e persino non certo dominanti.
Nella sinossi ho detto: finché non tappiamo lo scarico, litigare sui rubinetti mentre la vasca si svuota non è solo uno spreco di risorse, ma anche depistaggio; la politica non è che un'arma di diversione di massa per dividerci e distoglierci dal risolvere l'economia: lo specchietto per le allodole, per tenerci nella ruota del criceto, a continuare la corsa del topo verso la morte. La cosiddetta “Destra” dice che per onorare i debiti dobbiamo risanarci tirando la cinghia? La cosiddetta “Sinistra” dice che per onorare i debiti dobbiamo rilanciarci spendendo di più? Avrebbero entrambe la loro parte di ragione, se non fosse per il piccolo, trascurabile dettaglio che quel debito è intrinsecamente fraudolento ed inestinguibile.
Adesso aggiungo: mi auguro che ora quel piccolo, trascurabile dettaglio sia ancora più chiaro, e che sia altrettanto chiaro come anche gli economisti prendano parte attiva a questa operazione.
Essendo il ruolo degli economisti in quest’operazione analogo a quello dei politici, lo è anche il loro copione di apparente contrapposizione, e le medesime etichette “Destra” e “Sinistra” si possono applicare senza bisogno di molti aggiustamenti.
E così la dimensione di quest’operazione in termini di larghezza si potrebbe ben misurare da quanto distanti siano queste “Destra” e “Sinistra” del Pensiero Unico in Economia.

Quanto ai relativi esempi, mi onoro di attingere dai lavori di Daniele Pace: ne Il complotto del fruttivendolo, Pace espone la Scuola Austriaca come esempio di truppe schierate a “Destra”, mentre nell’articolo MMT: il banchiere che vorrebbe salvarci dalle banche?, espone la Modern Money Theory come esempio di truppe schierate a “Sinistra”.

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Fra i principi neoclassici che Wil Coyote ha concluso descrivono il mondo dei cartoni animati, non quello dell’economia, la Scuola Austriaca ha come suo dogma prediletto quello del massimo utilizzo della capacità; non c’è bisogno di dire che questo è pienamente sostenuto dall’occultamento del Sacro Graal: i ruoli del denaro e delle banche con la loro usurpazione della sovranità monetaria. Il risultato di tali premesse accuratamente selezionate è che sarebbe il governo a creare il denaro, e perciò sarebbe automaticamente colpevole di creare inflazione per qualsiasi politica espansiva. E noi ora sappiamo che l’incremento della moneta circolante è la sola vera causa dell’espansione, sappiamo che la politica espansiva non è inflazionaria perché difficilmente l’utilizzo della capacità è massimo, e sappiamo anche che qualsiasi politica espansiva con moneta a debito ci sprofonda tutti in una trappola del debito infinito nei confronti dei manipolatori monetari perché è con moneta a debito, non perché è espansiva. La soluzione che propongono per arginare tale peccato originale inflazionista del governo è il ritorno allo standard aureo. E dato che c’è troppo poco oro per soddisfare le necessità monetarie dell’economia, possiamo dedurne che tale proposta mira ad un ciclo dello standard aureo a vantaggio di qualche manipolatore monetario – proprio come la prima volta, quando gli orafi inventarono la frode della riserva frazionaria e diventarono banchieri. In una parola, lo scopo della Scuola Austriaca è delegittimare il governo come detentore della sovranità monetaria, ed appare alquanto chiaro che i beneficiari sono coloro che ne risultano legittimati – ironicamente, ma ovviamente, i veri colpevoli dell’inflazione: i manipolatori monetari.
Come il titolo dell’articolo citato fa notare, l’artefice della sedicente Modern Money Theory è un banchiere che asserisce di proteggerci dalla sorgente stessa della sua fortuna, un conflitto d’interesse per eccellenza che come minimo suggerisce particolare attenzione. Lui sostiene che vada benissimo andare avanti all’infinito ad acquistare prodotti reali con moneta presa a prestito perché nel far questo si acquisiscono prodotti reali in cambio di nulla, e questa è cosa buona. Sembra proprio un banchiere che suggerisce di comportarsi come lui, ottenendo qualcosa in cambio di nulla, in un modo incidentalmente noto come signoraggio internazionale, o piuttosto come imperialismo, con solo una piccola differenza: facendolo con la sua moneta a debito. Tralasciando quanto sia etico ricevere qualcosa in cambio di niente, questa sarebbe una favola carina, se non fosse per il trascurabile dettaglio chiamato a volte “redde rationem”, o resa dei conti. Perché il conflitto d’interesse del suo artefice non è il solo fattore chiave “accidentalmente” omesso; non c’è bisogno di dire che anche qui non c’è traccia del Sacro Graal del denaro e delle banche con la loro usurpazione della sovranità monetaria. La soluzione che propongono è una riforma, e l’articolo entra nel dettaglio per mostrare come tutti gli aspetti di tale “riforma” siano finalizzati esclusivamente a favorire i manipolatori monetari; qui è sufficiente riassumere il tutto dicendo che, date le premesse di base ormai chiare, noi ora sappiamo bene che cosa sia una trappola del debito infinito.

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Nei ricordi di alcuni di noi le voci degli anziani risuonano raccomandandoci di studiare, quando la maggior parte di noi ancora doveva toccare con mano che avevano ragione.
Perché adesso sappiamo che qualsiasi inganno si basa su cavalli di Troia, perciò qualunque cosa richiede ispezione approfondita in prima persona, per quanto accettabile appaia, e da chiunque provenga.
Anche perché più in basso ti trovi nella piramide e più impegnativa è la ricerca dei dettagli chiave della via d’uscita.
Ed anche perché in economia proprio come in politica, mentre noi corriamo dietro alle bandiere come cani dietro ad un bastone, il diavolo, come dice il detto, è nei dettagli…

Ma adesso che li conosciamo, smettiamola di giocherellare con i suoi dettagli, e vediamo di scovare il diavolo. Perché una volta che abbiamo esaminato i meccanismi, le tattiche e la strategia, gli scopi e la meta, è il momento di rammentarci che è la mano che adopera il martello, ed è la mano, non il martello, ad avere mete e scopi. Ogni volta che siamo scioccati da un “cosa?”, il nostro prossimo passo dev’essere: “chi?”

Del resto, i banchieri centrali non hanno fatto mistero del loro punto di vista; grazie a Werner, quanto a questo apprendiamo che “la meta della politica monetaria è conseguire una ‘crescita sostenibile’” – che suona bene, chiaro e semplice, no? – perciò è istruttivo apprendere dalle loro stesse parole cosa intendano con ‘crescita sostenibile’.
Per loro, la ‘crescita sostenibile’ “potrebbe richiedere un deterioramento a breve termine dell’economia”, ed “il requisito per una crescita economica sostenibile sono le ‘riforme strutturali’.” “Molti, ammette il governatore Hayami, sentono che ‘riportare l’economia alla fase di recupero del ciclo economico è una sfida importante’. Ma, come Mieno prima di lui, egli non attribuisce la priorità a questa meta: ‘Inoltre, è più importante che il Giappone vada al di là di questo riguadagnando il dinamismo economico perseguendo fermamente la riforma strutturale’.”

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Ora, noi sappiamo che il concetto di investimento è “fare un sacrificio oggi in cambio di qualcosa di meglio domani”, ma sappiamo altrettanto bene che il concetto di imbroglio è “fare un sacrificio oggi (a vantaggio del truffatore) in cambio di qualcosa di meglio domani (una pia illusione che non avverrà mai)”. E grazie all’indagine ed alle prove di Werner noi ora sappiamo anche che queste riforme strutturali sono tutto tranne che un requisito per una “crescita economica sostenibile”. In una parola, sappiamo che queste sono deliberate menzogne.
Inoltre, prima ho osservato che difficilmente ci potrebbe essere un’altra ragione per la caduta del Giappone sotto assedio neoclassico oltre ad una quinta colonna che sblocchi le porte dall’interno, e che quindi il nostro prossimo passo è “chi?” Beh, Werner ci informa che “La Bank of Japan ed il suo personale, attuale o precedente, sono stati i propugnatori più costanti della riforma strutturale in Giappone. I rapporti delle commissioni capeggiate da ex governatori chiave della Bank of Japan, vale a dire il Rapporto Sasaki del 1983 ed i Rapporti Maekawa del 1986 e 1987, attrassero molta attenzione. In termini del loro contenuto, essi reiteravano molti dei punti di vista dei negoziatori commerciali statunitensi. In qualche modo meno note, seppure il loro contenuto gli somigli molto da vicino, sono le dichiarazioni fatte dal personale attuale o precedente della Bank of Japan nel corso degli anni ’90. I loro discorsi e le loro dichiarazioni sono rimarchevolmente costanti nel sostenere che la banca centrale avesse fatto tutto quel che poteva, e che invece toccasse al governo implementare una riforma strutturale di vasta portata. Okina, della Bank of Japan, (1990) ad esempio ammonì: ‘Quello che la politica monetaria da sola può fare è limitato … la BoJ ha intrapreso sforzi estremi per promuovere la facilitazione monetaria … Ma la politica monetaria da sola non può garantire un ritorno dell’economia ad un percorso di crescita sostenibile. A questo fine, è essenziale risolvere problemi strutturali.’” E grazie di nuovo all’indagine ed alle prove di Werner noi ora sappiamo che queste sono altre deliberate menzogne. E possiamo a questo punto farci anche un’idea di chi sia la quinta colonna.

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Per Werner, “La politica monetaria è la politica macroeconomica più potente, dato che essa influenza non solo la crescita economica, ma può anche riplasmare la società. Dato il potere della politica monetaria di controllare ed allocare risorse nell’economia, essa dovrebbe essere condotta direttamente da un’istituzione che sia parte del processo democratico, come il ministero delle finanze od il Tesoro. Le sue operazioni dovrebbero essere trasparenti e ne dovrebbe rendere conto, in modo che gli obiettivi generali della società si possano riflettere in esse e le deviazioni verso gruppi dagli interessi occulti si possano prevenire od arrestare tempestivamente.”
A mio parere, alla luce del fatto che i secondi usurpatori della sovranità monetaria – i bankster – possano ingannare i suoi primi usurpatori – i governanti – come alternativa al comprarseli come complici, quella che appare come una verità fondamentale non fa che rafforzarsi: come espressa da Thomas Jefferson, non soltanto “Il potere di emissione va tolto alle banche e restituito al popolo, al quale esso appartiene di diritto”, ma anche “Non conosco altro depositario sicuro dei poteri ultimi della società, se non il popolo stesso”. E quando Jefferson dice ‘popolo’, per me intende ‘popolo’; non qualsivoglia suo “rappresentante”.

Perché? Beh, solo per dirne una, pescando dai componenti principali del Sacro Graal elencati sopra, non solo l’agenda dei burattinai di questi individui è vendere al mondo la loro “cura miracolosa”, ma comprende anche causare e mantenere attivamente la malattia e la sofferenza per sfruttarle come uno strumento di ricatto per costringere il mondo inconsapevole ad accettarla – e quindi sprofondare ulteriormente nella malattia e nella sofferenza.
Ancora Werner: “Shirakawa della Bank of Japan (2001) … spiega … come può la politica monetaria essere utile? Può essere utile, non essendo utile. L’ex governatore Mieno disse che grazie alla recessione tutti stavano diventando ‘consapevoli della necessità di implementare tale trasformazione’. … Secondo resoconti di rinomati media, l’allora governatore Hayami è convinto che il Giappone abbia bisogno di sottoporsi ad una ristrutturazione societaria ed a riforme bancarie radicali prima di potersi riprendere – e che lui ha il compito di promuovere questo … La passione del signor Hayami per la riforma ha anche un sapore di austerità. Sulla carta, la maggior parte degli economisti – e dei politici – pensano che sarebbe ragionevole controbilanciare il dolore della ristrutturazione con una politica monetaria ultraespansiva. Ma il signor Hayami teme che se allentasse la politica monetaria troppo rapidamente, questo eliminerebbe la pressione per la riforma. Nelle sue parole del maggio 2000: ‘Quando l’economia si dovesse riprendere … potrebbe ben darsi il caso che gli sforzi per una riforma strutturale vengano trascurati a causa di un senso di sicurezza’. L’attuale governatore Toshihiko Fukui ha ribadito in svariate occasioni la sua convinzione che la recessione degli anni ’90 dovesse essere prolungata, così da perseguire il cambiamento strutturale.”

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E per sciogliere qualsiasi possibile ultimo dubbio sulle loro intenzioni e motivazioni, ecco qualche osservazione di Werner:
“In primo luogo, la logica dell’argomento rimane capziosa: la Bank of Japan sostiene che politiche monetarie volte alla stimolazione sarebbero controproducenti per la sua meta a lungo termine del cambiamento strutturale precisamente perché esse sarebbero efficaci nel conseguire la loro meta del creare una ripresa. Questo riconosce che l’economia risponderebbe a politiche procicliche, e quindi ammette che le teorie … neoclassiche non valgono per la situazione economica del Giappone. Se tali teorie non valgono, allora la meta a lungo termine del cambiamento strutturale non può essere giustificata logicamente. In altre parole, ammettendo che un declino a breve termine potrebbe essere necessario per implementare i cambiamenti strutturali, i propugnatori della riforma strutturale si privano della loro principale argumentazione relativa priprio al perché le riforme strutturali siano necessarie. Coloro che hanno concordato con i cambiamenti strutturali perché sentivano che il vecchio sistema non funziona sono stati fuorviati. La Bank of Japan in effetti concorda con molti dei suoi critici sul fatto che l’economia, in uno stato non riformato, avrebbe potuto produrre una crescita più elevata di quella che c’è stata per la gran parte degli anni ’90. Se le cose stanno così, allora perché mai la Bank of Japan ha voluto cambiare la struttura economica del Giappone? Una crescita più alta non può essere la motivazione.
In secondo luogo, l’analisi costi−benefici del benessere sociale dà contro all’esperimento dal vivo su larga scala della Bank of Japan. Le politiche procicliche mirano alla crescita economica, quindi ad aumentare le dimensioni della torta del reddito nazionale. Le politiche strutturali mirano all’efficienza. Mentre la riforma strutturale potrebbe senz’altro avere successo nell’incrementare marginalmente l’efficienza dell’economia, per come misurata da certi indicatori, sembra chiaro che gli enormi costi economici e sociali della recessione decennale abbiano di gran lunga superato i potenziali benefici. Prolungare la recessione al fine di implementare il cambiamento strutturale è come rimpicciolire una torta sino ad una dimensione minuscola, solo per essere in grado di tagliarla più faclmente.
Non c’è quindi nessuna buona motivazione economica per perseguire i tipi di politiche che la Bank of Japan ha perseguito nello scorso decennio. Questo ci lascia con il fatto che la decisione sulla riforma strutturale è in ultima analisi una decisione politica. Indipendentemente dal fine ultimo, la questione qui è se l’implementazione di un’agenda di cambiamento strutturale a lungo termine che influenza la distribuzione del reddito e della ricchezza, le istituzioni sociali ed economiche e la società in generale sia in realtà il compito di banchieri centrali non eletti. Niente, nella legislazione vecchia o nuova sulla Banca del Giappone, ha mai conferito alla banca centrale un tale mandato. Nelle parole di Posen …: ‘nessun cittadino giapponese ha eletto la Banca del Giappone per perseguire questa politica del promuovere la ristrutturazione, e di fatto nessun funzionario eletto ha delegato questo compito alla Banca del Giappone od ha posto nel suo mandato l’obiettivo di "incoraggiare la distruzione creativa". Creare il consenso pubblico per la ‘necessità’ di una riforma strutturale creando intenzionalmente una recessione deve costituire un abuso di potere. La popolazione vuole davvero essere manipolata in una maniera così costosa e disonesta?”

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Quanto alla portata di tale abuso di potere fraudolento, nascosto, totalitario, Werner dapprima ce ne dà un indizio con la strategia “bastone e carota” della Banca Centrale Europea: quando una nazione europea resta indietro sulla sua agenda di riforme strutturali, il “bastone” è diminuire drasticamente la sua creazione di credito in modo da – come ora sappiamo – indurla ad “accelerare”; quando una nazione europea è avanti su di essa, la “carota” è incrementare la sua creazione di credito in modo da – indovina un po’ – fingere che la sua conseguente espansione sia tutto merito delle riforme strutturali. Testimoni: la Germania per il bastone, l’Irlanda per la carota, dal 2001 in avanti.
E poi, dopo questo primo indizio, Wermer osserva: “Un rapido esame delle dichiarazioni da parte dei banchieri centrali in tutto il mondo – compresi molti paesi in via di sviluppo e mercati emergenti – farà scoprire velocemente che hanno molto in comune, non importa dove siano stati pronunciati. La politica monetaria non ha potere, e l’onere dell’azione politica spetta ad altri attori, il cui compito principale è, secondo la banca centrale, implementare profondi cambiamenti strutturali. Analizzando i dettagli precisi di questi cambiamenti strutturali raccomandati, indipendentemente dalla nazione o dal continente, sembrano consistere nella medesima serie di politiche che sono state etichettate ‘Washington consensus’, dato che sono state energicamente avanzate dalle principali istituzioni con base a Washington, quali la Federal Reserve, il Tesoro statunitense, il FMI, la Banca Mondiale, la Banca di Sviluppo Inter−Americana, ed i loro vari satelliti e sussidiarie. Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, le organizzazioni internazionali quali la Banca Mondiale considerano le crisi una ‘opportunità’ per implementare la ‘riforma strutturale’ e ‘trasferire la proprietà’.”

Werner aggiunge che “A dispetto di queste conclusioni devastanti, nessuno dei fatti qui sopra viene segnalato agli studenti di economia, né ai giornalisti od al grande pubblico. Apparentemente inconsapevoli dei fatti di questo mondo, i banchieri centrali e gli economisti teorici continuano a ripetere il mantra dell’importanza dei tassi d’interesse, derivato dai loro modelli teorici, come monaci che fanno girare una ruota della preghiera. Coloro che non hanno il tempo di verificare i fatti vengono facilmente sviati dai cosiddetti esperti che dovrebbero conoscere meglio l’argomento.”
E che “Ogni burocrazia, banche centrali comprese, costituisce un gruppo d’interesse, e se la struttura di incentivi complessiva all’interno della quale opera non è ben progettata è probabile che si apra un varco, e che si allarghi gradualmente, fra gli interessi generali della società e gli interessi settari della burocrazia stessa. Di nuovo, la saggezza del concedere l’indipendenza alle banche centrali senza controlli e contrappesi commisurati nelle loro attività, viene messa in discussione.”

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A mio parere, i banchieri centrali ed i loro accoliti nelle summenzionate istituzioni sovranazionali non sono burattinai; sono burattini. La “saggezza” della loro “indipendenza” risiede nel servire meglio i loro burattinai, ed i loro interessi e struttura di incentivi, piuttosto che settari, sono semplicemente quelli dei loro burattinai. Ciascuna crisi che creano e perpetuano è uno strumento per sopprimere sia direttamente che indirettamente: affamano e privano dei diritti la gente tatticamente, e nel far questo strategicamente creano la ‘opportunità’ per implementare la ‘riforma strutturale’ e ‘trasferire la proprietà’, che a loro volta fanno avanzare il rimodellamento della piramide verso un profilo sempre più oligo−monopolistico il cui prodotto a sua volta sarà un inferno sempre più profondo per i loro simili.

Per renderci conto che non sto affatto parlando in senso figurato, è utile comprendere e tenere presente come sia la natura che l’ordine di grandezza del potere che stiamo studiando gettino le basi della dittatura; Werner lo chiama “il potere degli allocatori”. Essendo basato sulla scarsità, esso costituisce un’altra ragione per la quale la scarsità è soppressiva ed i soppressivi mirano alla scarsità al fine di sfruttarla: “Ogni mercato che sia razionato dà al lato corto, dell’offerta o della domanda, un tipo di potere che non esiste nell’economia dei mercati in equilibrio: il potere di allocare; il potere di scegliere. Ogniqualvolta un mercato sia razionato, viene esercitato un potere allocativo. L’allocatore può decidere A o B o C, ed il mercato non ha nulla a che vedere con la sua decisione.”
Il potere dittatoriale, arbitrario degli allocatori è una piaga universale; solo come esempio: “Gli avvisi pubblici di offerte di lavoro o di concorsi pubblici possono solo fornire una copertura di apertura ed equità, mentre coloro che stanno all’interno dell’azienda o dell’istituzione hanno scelto da un pezzo il loro candidato preferito.”
Ma tali infiniti esempi diventano addirittura secondari a paragone dei campi in cui questa piaga diventa manipolazione di massa: “Delle migliaia di notizie riportate ogni giorno dalle agenzie, solo poche centinaia, o addirittura solo poche dozzine vengono riportate dalla stampa il giorno seguente, e solo una manciata arriva in TV. Qualcuno – di solito un esiguo numero di capiredattori – ha effettuato una selezione e preso una decisione allocativa. Come risultato, molte notizie importanti non vengono mai riportate, perché i media dominanti hanno rifiutato di trattarle. Coloro che prendono queste decisioni allocative esercitano un potere enorme. Essi possono dire sì o no ad una notizia. Dato che noi non possediamo un’informazione perfetta, ma dipendiamo dall’oggettività dei servizi d’informazione, la nostra visione del mondo risulterà influenzata, persino manipolata, dalle notizie riportate dai media. Questo potere editoriale non è il potere dei mercati, ma il potere di un piccolo numero di individui che selezionano ad allocano all’interno di mercati razionati.”

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Ancora peggio è quando questa piaga pervade i campi che sono più vicini all’orizzonte interiore della gente, come l’espressione artistica: “Quando Peter Gabriel parlò ad un gruppo di giovani partecipanti al World Economic Forum di Davos nel 2004, la sua modestia era impressionante, specialmente quando questo talentuoso artista dichiarò: ‘Il talento è ampiamente sopravvalutato.’ Magari questa dichiarazione riflette la sua consapevolezza che sebbene vi siano molti artisti di talento, non tutti sono riusciti a diventare delle superstar, anche se in base al talento molti di più potrebbero averne avuto diritto. Forse, gli allocatori non li hanno favoriti…”
Ma in ultima analisi da questa piaga non si salva nessuno: “Mentre la retorica è quella di un mondo globalizzato dominato da forze di mercato anonime che decidono il flusso di beni, servizi e capitale attraverso il globo, la realtà è che la maggioranza dei flussi commerciali sono decisi da pianificatori – burocrati o gestori simil−burocrati nei grandi gruppi – che prendono decisioni allocative: i grandi gruppi dominano il commercio internazionale e molta parte del commercio internazionale ha luogo all’interno di queste grandi aziende globali. Questo è comprensibile in un mondo di razionamento pervasivo, dove praticamente tutte le decisioni economiche sono decisioni allocative.”
A questo punto consideriamo l’altra faccia del potere degli allocatori: ovunque ve ne sia uno, ci sarà qualcosa in contropartita. Se si viene scartati, il danno è chiaro ed è in termini della negazione del proprio contributo a sé ed a tutti. Ma… e se invece si viene scelti? Che cosa pretenderà da noi in cambio l’allocatore? Su che tipo di patto il Diavolo pretenderà la firma di Faust?
Una volta che tutto questo sia tanto chiaro quanto nella giusta prospettiva, è il momento di applicarlo al Sacro Graal. Non dimentichiamo che questi non sono che esempi, e poi consideriamoli in termini di portata, ordine di grandezza, impatto. Poi cerchiamo di farci un’idea dell’intera società assoggettata a questa piaga, in ogni angolo, ogni singola persona. Ed una volta lì, risaliamo all’interruttore principale, al rubinetto principale dietro tutto questo dedalo: il Sacro Graal, quanto potere d’acquisto o quanto poco, per cosa ed a chi.

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Lasciamo che Werner ci aiuti a farci un’idea con quello che potremmo chiamare solo un piccolo spunto: “Queste conclusioni ci rammentano quanto una banca centrale sia potente. Essa può controllare la creazione e l’allocazione dei diritti sulle risorse. Essa è perciò in molti modi più potente del governo. Eppure in tutto il mondo le banche centrali sono divenute indipendenti dai governi e non rispondono ad essi. L’indipendenza della banca centrale è stata una delle pretese chiave avanzate dall’FMI nelle sue dozzine di politiche di aggiustamento in tutto il mondo. Le truppe statunitensi in Iraq allestirono rapidamente una banca centrale ‘indipendente’ come una delle priorità politiche. Quale può essere il significato della democrazia, se la funzione più potente non è soggetta a nessun controllo e contrappeso democratico?”

È più che ovvio che loro macchinazioni con il Santo Graal siano tenute nella massima segretezza – almeno nella misura in cui il popolo stia abbastanza bene da alzarsi in piedi contro di esse.
Non è quindi una sorpresa che Werner ci informi che i banchieri centrali, i signori assoluti de “quanto denaro o quanto poco, per cosa ed a chi”, siano riluttanti a rivelare al pubblico i dati del credito: “Mentre le banche centrali hanno tali informazioni disponibili internamente in diretta, spesso occorrono svariati mesi, a volte più di un trimestre, perché le cifre siano pubblicate, e spesso solo con dati aggregati privi di dettagli.”
Dico, non è una domanda difficile, no? Giorno per giorno, mese per mese, anno per anno, quanto “denaro” viene creato ed allocato a chi, quanto e di chi distrutto, e perciò quanto in esistenza ed a chi? Tuttavia, se si da il caso tu non appartenga al club del Sancta Sanctorum della Banca Centrale, saresti in grado di dirmi “quanto ed a chi”?

Per mettere ulteriormente in prospettiva questa omissione criminale, in aggiunta a tutto quel che adesso sappiamo, è stato detto che il vero perché apre la porta ad una soluzione, e si potrebbe aggiungere qui che il fattore “quanto denaro” è così decisivo e senza paragoni da aprire molte porte. Attraverso alcune delle quali Werner ci conduce:

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La prima porta rivela che la sua divulgazione è altrettanto importante: “data l’importanza delle variabili del credito, esse richiedono anche una divulgazione completa da parte delle banche centrali di dati ad alta frequenza sul credito, tempestivi e dettagliati.”
La seconda porta rivela che, contrariamente al mito – peraltro falso – della “indipendenza” della banca centrale, “per i responsabili politici … è imperativo controllare l’allocazione del credito”; dopotutto, l’importanza di questo fattore per le vite della gente dà loro decisamente il diritto ad avere voce in capitolo sull’argomento, come minimo indirettamente tramite, si spera, una democrazia rappresentativa.
La terza porta rivela che boom e crolli, inflazione, speculazioni e le loro conseguenti vittime, si possono addirittura prevenire: “questo può essere fatto usando un intervento diretto nel mercato del credito opportunamente progettato in modo da influenzare sia la quantità che l’allocazione del credito, e da assicurare che la creazione del credito venga impiegata soprattutto produttivamente. Questo assicura una crescita stabile e senza inflazione.”
La quarta porta rivela che prosperare liberi dalla soppressione è possibile, se non altro perché è già stato fatto: “Assicurando che la creazione del credito venga usata soprattutto per scopi produttivi, si possono generare elevati tassi di crescita reale senza inflazione. Come il caso del Giappone degli anni ’60 ha dimostrato, sono possibili tassi di crescita persino a due cifre. Non è una coincidenza che la Corea, Taiwan, e più di recente la Cina abbiano usato i controlli del credito e l’allocazione selettiva del credito come strumenti chiave della loro politica. Questi hanno prodotto alti tassi di crescita.”
La quinta porta rivela che “con politiche di credito appropriate, il solo limite alla crescita diviene la creatività umana nell’inventare nuove idee, nuove tecnologie e nuove ricette per organizzare gli apporti. Se di tale creatività ve n’è molta, è possibile una crescita molto alta.” Dopotutto, come espresso nella pudica parlata degli economisti, “fra tutti i fattori della funzione di produzione, le risorse umane sono di gran lunga la più importante.” Il che, incidentalmente, rimette il fattore umano – altrimenti noto come “Tu” – al posto che gli spetta: al centro. E nel farlo svela una sfaccettarura soppressiva del Pensiero Unico neoclassico: quella che lo invalida.
La sesta porta rivela come “data l’importanza della creatività nel fornire le idee che consentono gli investimenti produttivi, il nostro quadro mostra anche che la conoscenza pratica, l’educazione e l’informazione sono cruciali per uno sviluppo economico di successo – aree che erano trascurate nelle teorie tradizionali, dove si dà semplicemente per scontato che gli agenti sappiano già tutto.” Il che rimette l’altro fattore vitale, la conoscenza, al posto che gli spetta, al centro, accanto al fattore umano. E nel farlo svela un'altra sfaccettatura soppressiva del Pensiero Unico neoclassico: quella che invalida anche questo.

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Ma adesso veniamo al nucleo, ed una volta lì chiamiamo le cose per nome.
Werner osserva come “L’economia neoclassica è costruita sul presupposto che gli individui si curino soprattutto di sé stessi ed agiscano indipendentemente l’uno dall’altro. Si presume che lo stato di felicità dell’uno non abbia alcun impatto sugli altri. Le relazioni sociali ed il desiderio degli individui di relazionarsi con gli altri e ricevere rispetto all’interno dei gruppi sociali sono al di fuori del modello neoclassico. Un gruppo crescente di economisti, che nasce in Francia ma che si diffonde rapidamente nei campus di economia del mondo, ha perciò sostenuto che l’economia neoclassica sia ‘autistica’ – dato che ha difficoltà nel riconoscere che gli umani hanno bisogno di relazionarsi con gli altri.”
Come la mano adopera il martello, così nell’osservare il modello possiamo vederci riflesso il suo originatore. Perciò ora alziamo lo sguardo per guardare direttamente quest’ultimo.
Autistico? A−sociale? Non proprio. È molto peggio. È ANTI−sociale. Come ho detto prima, a coloro che sanno come la vera etica della sopravvivenza sia giusto un filo diversa, questa visione sembra un po’ stramba, ma a coloro che sanno anche come un soppressivo veda gli altri, sembra meno stramba.
La stessa idea può venire espressa in molti modi; è vero che l’espressione riflette la comprensione, ma è anche vero che poi l’espressione influenza la comprensione. Perciò vorrei contribuire chiamando le cose per nome in modo da aiutare a sollevare la nebbia da esse.
Ecco un esempio da Werner: “Le istanze di inflazione degli attivi non sono ottimali per il benessere. Innanzitutto, non può essere considerato efficiente né equo quando nuovi diritti su risorse finite vengono creati dalle banche e poi concessi a gruppi specifici di individui, che li usano puramente per guadagni speculativi, senza contribuire alla produttività od alla produzione.”
Beh, e riformularlo così? “Alquanto ovviamente, non c’è nulla di buono per noi tutti quando dei criminali soppressivi ci rubano potere d’acquisto creando denaro dal nulla e poi, per di più, usandolo per rubarci altro potere d’acquisto attraverso degli schemi piramidali, senza consegnare affatto alcunchè di buono in cambio, ed al contrario sopprimendo nel frattempo anche la produzione. Vediamo di chiamare questo per nome: soppressione economica.”

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Ciò che abbiamo esaminato qui non è tutto quel che è stato dettagliato per noi da Werner, tutt’altro. Tuttavia, secondo me, quel che abbiamo esaminato qui da solo, più la nostra consapevolezza della sua ricaduta su tutti noi, sono sufficienti a raggiungere una conclusione ponderata e precisa.
Il Pensiero Unico in Economia è uno strumento intrinsecamente fraudolento, basato sull’inganno e sulla falsità sin dal suo stesso inizio. Lo è intenzionalmente, per servire deliberatamente scopi soppressivi. La ragione della sua stessa esistenza in primo luogo è fottere la gente. Non è nato per aiutare, ma per tradire. pretendendo di combattere i monopoli, esso occulta e serve la madre di tutti i monopoli, quella dei manipolatori monetari sulla manipolazione monetaria.
Werner è alla ricerca di economisti, scuole economiche, banchieri e politici che commettono “sviste”, ed è alla ricerca del punto di partenza: trovare il Sacro Graal, e documentarlo e rivelarlo tramite fatti e prove concreti. E poi progressivamente alza lo sguardo verso le intenzioni dietro le “sviste”.
Qui, noi facciamo tesoro delle sue scoperte e prove inestimabili, percorriamo sino in fondo la strada da lui tracciata e facciamo il passo ulteriore: qui, noi siamo alla ricerca di burattinai e burattini soppressivi o fonti potenziali di guai che perpetrano crimini contro l’Umanità.

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum, et tertia non datur. Errare è umano, perseverare è diabolico, e non vi sono terze opzioni.
Suppongo che il nome “diavolo” potrebbe attagliarsi molto bene a coloro la cui agenda è creare e perpetuare l’inferno per i propri simili nel loro complesso. Per il motivo illustrato ne Il Nucleo sopra, io li chiamo soppressivi.
Questi non sono eventi casuali. Il Pensiero Unico in Economia è un’operazione. E serve una strategia globale. Pienamente consapevoli, lucide, intenzionali, deliberate, premeditate e continue.
E dalle mie parti ci sono dei nomi per esse – e capi d’imputazione a carico dei loro burattinai e burattini –:
Associazione a delinquere
Alto tradimento
Crimine contro l’Umanità
Soppressione economica
E come ha scritto Eustace Mullins, “l'enorme colpa dei banchieri e la lunga storia di sofferenze e miseria per le quali essi sono responsabili suggerirebbe che nessuna punizione potrebbe essere troppo severa per i loro crimini contro i loro simili.”