Gioco a perdere o cavallo di Troia? La guerra come strumento di soppressione

In qualche modo nella vena di alcuni antichi personaggi fra lo storico ed il mitologico, alcuni dicono che la guerra sia una cosa buona in sé. Ed in qualche modo nella vena di quel che viene salutato come cinico realismo, alcuni altri dicono che la guerra sia una cosa buona per alcuni. Queste sono persone soppressive, o seriamente PTS, o seriamente disorientate. Che la guerra possa persino produrre qualche “profitto” per ben pochi criminali non fu, non è, e non sarà mai abbastanza per superare la tragedia, distruzione, macellazione, massacro, fame, misera e privazione per praticamente tutti gli altri.

Ma forse affermare che la guerra sia un atto soppressivo è meno scontato di quanto possa apparire a prima vista, dato che c’è persino più di quanto già sembra.

Qua e là, in un modo o nell’altro, è stata espressa l’idea che la guerra sia un gioco in cui tutti perdono. Senz’altro questo potrebbe essere piuttosto vero sia per i perdenti come pure per i vincitori: se i vincitori dovessero redigere un conto realistico dei profitti e delle perdite, come nazione o come persone, il suo risultato netto sarebbe come minimo seriamente incerto. Dopo tutto, dovresti solo fare un sondaggio fra loro chiedendo se siano contenti di avere avuto una guerra e se gli andrebbe un altro giro su quella giostra. Inoltre, se il conto dei profitti e delle perdite venisse redatto più onestamente e tenesse in conto l’intera gamma di ciò che gli esseri umani considerano di valore – il non materiale tanto quanto il materiale – il risultato netto non sarebbe più incerto.

Sappiamo che gli umanoidi sono abbastanza inconsapevoli da impegnarsi in attività in cui tutti perdono, ma è tutto qui? O piuttosto, ci sono forse ragioni ulteriori più profonde, nascoste, meno inconsapevoli? Voglio dire, siamo davvero sicuri che la guerra sia una perdita per ognuna delle parti coinvolte?