Pino Aprile

Terroni, 2010

Non è improbabile essere al corrente delle affermazioni: “i vincitori scrivono la loro verità come storia con il sangue degli sconfitti che eliminano da entrambe” e “non sappiamo MAI abbastanza”, ma è stato detto che uno può capire negli altri solo il dolore che ha effettivamente provato di persona. Quindi non è da escludere che le conseguenze del prendere queste affermazioni sottogamba non si capiscano per davvero a meno che uno non ne abbia provato il dolore di prima mano. Perciò, quando si tratta di prendere le misure del divario fra la “verità” ufficiale, dominante, accettabile, da libro di scuola dei vincitori e quella non ufficiale, emarginata, sgradevole, nascosta degli sconfitti, quando si tratta di affrontare e pesare gli orrori nel mondo reale, perpetrati prima e sepolti poi, dato che fra i nostri molti difetti siamo influenzati dalla distanza, niente di meglio di un esempio abbastanza vicino da attanagliarci. Pino Aprile ci fornisce un tale esempio, vicino abbastanza al nostro sangue da svegliarci con il dolore alla vergogna di non mettere in discussione, ispezionare, investigare, e sapere. La diffusione e la chiarezza di tutto quello che si intende con “terrone” sono paragonabili solo a quanto tutto quel significato viene dato per scontato. Questa etichetta è talmente un paradigma che i meridionali italiani stessi si uniscono alle fila dei loro detrattori, e sembrano persino sforzarsi di entrare nella parte che ci si aspetta da loro. Tanto profonda è la tana del bianconiglio. Perciò, immagina l'ordine di grandezza del compito di passare dall'altra parte dello specchio di Alice, verso una verità giusto un filo simmetrica rispetto a quella dataci in pasto dai vincitori.